"Meglio la galera che il Cie"

 

Storie di ragazze e ragazzi, donne e uomini,

a cui è stato tolto tempo, dignità, speranza

e in molti casi una seconda possibilità...

 

18 agosto 2015

By Claudia Sottimano

 

Vogliamo parlare di un luogo che negli ultimi anni è stato più volte menzionato dai media... Un luogo collegato a gravi e seri episodi di violenza, rivolta, sofferenza e indifferenza. È una struttura inaccessibile alla società civile e che ad oggi ospita ben 81 stranieri, sottoposti a condizioni di vita precarie: pessimo cibo, pessime condizioni igieniche, stanze senza finestre, bagni senza porte, lenzuola monouso, freddo glaciale d’inverno e caldo insopportabile d’estate. Questa struttura è diventata un limbo infernale che porta molti utenti a insonnia, depressione, autolesionismo, atteggiamenti aggressivi.

 

Il Centro di Identificazione ed Espulsione, di corso Brunelleschi a Torino, è da settimane oggetto di forti e, da quello che emerge, motivate critiche. Le testimonianze raccolte dal quotidiano “il Manifesto” e da altre testate giornalistiche sono drammatiche e preoccupanti, e segnalano il fallimento delle politiche di immigrazione italiane, ben lontane dal giungere ad uno schema comune e condiviso a livello nazionale, nel rispetto dei diritti umani fondamentali e inalienabili della persona. 

Il punto dolente di questa storia è che dietro l’etichetta di “Centro” si nasconde un vero e proprio strumento di detenzione penale, corrispondente ad una grave e immotivata privazione della libertà personale, nella maggior parte dei casi in risposta ad un reato amministrativo, come il mancato possedimento dei documenti di identità o del permesso di soggiorno... 

I CIE, inizialmente denominati CPT (Centri di Permanenza Temporanea), sono frutto della legge Turco-Napolitano del 1998, inasprita sensibilmente dalla legge Bossi-Fini del 2002 e modificata in seguito per recepire la Direttiva Europea 2008/II5/EC in materia di rimpatri. Risultato di questo iter legislativo e di un’ulteriore legge del 2011 è un sistema che si propone di regolamentare l’espulsione ed il rimpatrio dei soggetti residenti illegalmente sul territorio italiano, quindi senza documenti di identità o permessi di soggiorno, nonché destinatari di provvedimenti di allontanamento dallo Stato verso cui non è possibile l’esecuzione immediata della misura. Di conseguenza, i CIE possono ospitare tipologie molto eterogenee di persone: richiedenti asilo, stranieri in Italia già da molto tempo con famiglia e figli nati in territorio italiano, stranieri che hanno trascorso precedentemente un periodo nelle carceri.

 

Vi sono inoltre soggetti vulnerabili che hanno bisogno di particolare assistenza e supporto, quali tossicodipendenti, ex detenuti, persone che manifestano disagi di vario genere. Che dire poi dei soggetti che hanno già subito svariati periodi di detenzione: quando l’espulsione di una persona è impossibile da eseguire, può capitare che questi vengano continuamente rimbalzati dal carcere al CIE e viceversa, procedura che lede la dignità personale. 

Il CIE di Torino è stato oggetto di un rapporto risalente al 2012, elaborato dall'International University College IUC di Torino, in collaborazione con le Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale (sede di Alessandria) ed in partnership con l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). Da tale resoconto era infatti emerso che la struttura non provvedesse ad una corretta assistenza linguistica durante tutta la procedura legale a tutti i “detenuti”, e che non fosse in grado di fornire un adeguato supporto sanitario, soprattutto per i casi particolari che necessitano di specialisti esterni.

Erano state sottolineate le gravi mancanze da parte della polizia e del personale della struttura in materia di diritti umani... Denunce lanciate sul versante istituzionale anche dall'Unione Europea. Si è messo a fuoco l'incapacità degli organi competenti a gestire un contesto multiculturale, dovendosi rapportare con richiedenti asilo e vittime di torture e abusi. Agli stranieri inoltre non veniva offerta alcuna possibilità di integrazione, formazione e socializzazione. Spesso, poi, gli ospiti avrebbero dovuto essere inviati ai CIE più prossimi alle città di residenza, e non a Torino, comportando il loro allontanamento da nuclei familiari.

Nel rapporto suddetto era inoltre emerso un altro fatto: i “detenuti” che avevano trascorso precedentemente un periodo nelle carceri italiane per scontare una pena per reato comune giudicavano queste ultime come migliori rispetto al centro di detenzione... Un dato indicativo questo, considerato lo stato attuale delle prigioni italiane.

Oggi, la situazione nel CIE di Torino non è affatto cambiata, nonostante associazioni e organizzazioni stiano lottando per migliorarne le condizioni, ma soprattutto per cercare di favorirne la chiusura definitiva.

Il giornalista Mauro Ravarino, in seguito alla campagna “LasciateCIEentrare”, è riuscito ad visitare la struttura e a vedere con i propri occhi l’orrore quotidiano che le persone rinchiuse vivono sulla loro pelle e nelle loro menti: “Su 81 'trattenuti' (provenienti da Marocco, Tunisia, Nigeria, Senegal, Albania, Georgia e Ghana) il 35-40% arriva dal carcere, l'80% ha esperienze di detenzione in istituti penitenziari, comunemente per spaccio di sostanze stupefacenti; 17 hanno richiesto asilo ma i casi di accoglimento sono molto rari. Oltre il 70% dei migranti viene rimpatriato, i restanti, una volta ricostruita l'identità all'interno del Cie, ricevono il decreto prefettizio di espulsione e viene loro intimato di abbandonare il territorio italiano entro 7 giorni. Sei/sette persone hanno ora iniziato lo sciopero della fame, come forma di protesta non violenta”.

Il massimo della detenzione ad oggi – sostiene Marco Grimaldi, consigliere regionale Piemonte e capogruppo Sel, che ha visitato il centro nel dicembre 2014 – è di 30 giorni per coloro che vengono da una precedente carcerazione, fino a 90 per i trattenuti che non arrivano dal carcere, ma per chi chiede asilo si bloccano le pratiche di identificazione ed espulsione fino al termine della procedura, ed è il tribunale ad avere la competenza per la proroga”.

 

 

Photo Credit: ANSA