BASILEA PORTA D'EUROPA

 

Tra le strade della città frontaliera per eccellenza, alla scoperta di un particolare modello di vita mondialista

 

 

 

3 novembre 2014

By Marco Marano

LA CITTA' COSMOPOLITA

In una domenica pomeriggio di metà ottobre, dopo tre intensi giorni di pioggia, sulle rive del Reno la città rinasce. In effetti sembra un giorno estivo che invita la gente a godere di un sole inusuale in questa stagione. Gli stretti boulevard si riempiono di famiglie, anziani e giovani, accovacciati sui bordi del fiume come fosse una spiaggia. Personaggi variopinti e genti di tutte le razze si ritrovano a chiacchierare, mangiare, passeggiare componendo una interessante armonia sociale. "Quando ci si incontra con gli amici è normale che per comunicare utilizzi tre o quattro lingue, oltre al tedesco, lingue che impari o rafforzi dagli studi scolastici nella quotidianità…" Claudio è un italiano di cinquant’anni e vive a Basilea da più di venti, operaio specializzato durante il giorno e chitarrista la sera, prevalentemente al "Musikpalast" (Palazzo della musica), una sorta di Centro sociale, gestito da un gruppo non formalizzato, che paga un affitto alla banca proprietaria. Mentre parliamo, in una panchina lungo il Reno, arrivano alla spicciolata gli altri del Musikpalast. C’è Ursus, allegro sessantenne un pò post hippy, che vive con il sussidio sociale da sempre, e abita poco distante dal fiume, in una accogliente casa con parquet in legno, sempre pagata dai servizi sociali. Karl è un batterista di trentotto anni, lo vediamo con uno zaino stracolmo, lo poggia per terra e da lì inizia ad uscire lattine di birra che tracannerà per tutto il pomeriggio. Tecla è una traduttrice di testi in lingua inglese, francese e italiano, per il suo lavoro governa quattro sistemi grammaticali diversi, e con chiunque si avvicini usa la lingua che il suo interlocutore comprende meglio. Ma il pezzo forte arriva un pò in ritardo, si chiama Gerard o Ritchie o Luca, è un cinquantenne serbo, che vende e compra di tutto per fare business, simpaticissimo personaggio che ogni anno decide di farsi chiamare con un nome diverso, tipico di nazionalità differenti.

ANAGRAFICA D'UNA METROPOLI IN MINIATURA

Nel 1833 il Cantone svizzero di Basilea venne diviso in due semicantoni: Basilea Città e Basilea campagna. La città di Basilea divenne capitale del primo semicantone, il più piccolo di tutta la Svizzera, con i suoi 37 km², ma, paradossalmente, quello con la maggiore densità di popolazione, considerando anche gli altri due comuni cantonali Riehen e Bettingen. La città di Basilea a nord confina con la Germania, circondario di Lörrach nel Baden-Württemberg e con la Francia, dipartimento dell'Alto Reno in Alsazia. Con circa 190.000 abitanti, di cui il 34 per cento stranieri, è ovviamente il centro culturale, economico e politico del Cantone. Il suo posizionamento geografico, che interessa tre stati, la caratterizzano non poco per le dinamiche mondialiste, infatti sono 160 le nazionalità presenti sul territorio urbano. Un crogiolo di culture che si fondono perfettamente nel disegno sociale della città, in nome della contemporaneità. Nonostante le piccole dimensioni Basilea sa di metropoli, poiché offre tutto quello che una grande città può dare, con un valore aggiunto però: un’alta qualità della vita. I rapporti sul sistema di vita a Basilea segnalano tre dimensioni dove la città raggiunge livelli altissimi: competitività, innovazione, apertura nei confronti degli stranieri. Nelle ultime analisi statistiche Basilea viene descritta come un "efficientissimo sistema finanziario, con un mercato dinamico e diversificato".

FRONTIERE E MIGRAZIONI COME FORME DI SVILUPPO
 

"Sai trent'anni fa - osserva Claudio – come chiamavano gli italiani emigranti in Svizzera? Li chiamavano cingali, perché nelle fabbriche, durante le pause, erano quelli che giocavano a batto cinque. Gli svizzeri storpiando la parola cinque la fecero diventare cingali e da allora questo appellativo è rimasto". In effetti, la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera prendeva avvio all’inizio dell’ottocento proprio dalle regioni del nord Italia. Dopo la seconda guerra mondiale, specialmente durante gli anni del boom economico, il nord si arricchiva per cui ad emigrare restavano i meridionali, era il periodo, e bene ricordarlo, della grande truffa della Cassa per il mezzogiorno… Attualmente le maggiori provenienze regionali sono: Lombardia 15 per cento, Campania 13,1 per cento, Puglia 12,4 per cento, Sicilia 12,1 per cento e Veneto 8,4 per cento, concentrati prevalentemente nelle zone di Zurigo 22,7 per cento e Basilea 14,4 per cento. Oggi la comunità italiana è quella più numerosa con il 18,9 per cento, su otto milioni di residenti svizzeri, tra "autoctoni", naturalizzati e migranti di prima generazione. In questo contesto si aggiungono i lavoratori stagionali, che sono una realtà tipica svizzera. Interessante la definizione presa da Wikipedia: "La maggior parte degli emigranti sono lavoratori stagionali, il cui permesso di soggiorno è limitato a nove mesi e può essere rinnovato all’occorrenza. Sono occupati innanzi tutto nei cantieri edili e negli esercizi alberghieri, ma anche in diversi settori non vincolati alla stagionalità. Lo "stagionale" non è autorizzato a farsi raggiungere in Svizzera dalla famiglia. Soltanto dopo anni e a determinate condizioni i lavoratori stranieri ricevono il permesso di far venire la famiglia." Ma c’è un’altra storia assai interessante in merito alle dinamiche migratorie del passato, quella degli alsaziani. In effetti il legame tra l’Alsazia e Basilea ha radici storiche fortissime, che hanno origine tra il 1870 e la fine della prima guerra mondiale, quando l’Alsazia venne annessa al Reich tedesco. E’ in questa la fase che l’area di frontiera intorno a Basilea, Saint-Louis, iniziava a svilupparsi con l’insediamento di grandi aziende svizzere. A riprova del legame tra i due territori confinanti vi fu l’accoglienza che Basilea riservò nel 1944 ai profughi francesi, prima della fine della guerra. L’eredità che questa storia di osmosi territoriale si porta dietro è rappresentata dall’Euroaereoporto di Basilea, che si trova proprio a Saint-Louis, quindi su territorio francese e serve anche Friburgo, città tedesca a 70 chilometri. Ma queste storie antiche hanno dei risvolti sull’oggi estremamente sui generis, tanto da determinare un fenomeno oggetto di scontro politico, a livello nazionale, quello del lavoro trasfrontaliero. Nel 2002 venne stipulato, con l’Unione Europea, l’accordo sulla libera circolazione delle persone, per dare la possibilità ai lavoratori residenti nelle zone di frontiera di poter accedere liberamente in Svizzera per lavorare durante il giorno e ritornare in patria la sera. Infatti nel 2007 venne soppresso l’obbligo di residenza nel raggio di 20 chilometri della fascia di confine. In questo modo le imprese non venivano più sottoposte alle quote sui permessi di lavoro e i lavoratori potevano usufruire del permesso G che li obbligava almeno una volta alla settimana a rientrare nel proprio domicilio. Oggi i lavoratori che attraversano la frontiera giornalmente in auto sono 200.000 in tutta la Svizzera e riguardano i tre paesi confinanti Italia, Francia e Germania.

LA STRANA STORIA DI UNA LEGGE XENOFOBA
 

Nel febbraio di quest’anno, si è svolto il referendum lanciato dal partito della destra conservatrice Unione Democratica di Centro, contro l’immigrazione di massa, secondo cui questa mina i valori e la sicurezza sociale dei cittadini svizzeri. Al cartello xenofobo si sono aggiunti la Lega dei Ticinesi ed il Movimento dei cittadini ginevrini, contrapposti a tutti gli altri partiti del Parlamento federale. A sorpresa, una maggioranza risicata, il 50,3 per cento, ha votato si all’abolizione dell’accordo di libera circolazione con l’Ue, contro il 49,7 per cento dei no, con uno scarto di 20 mila voti. Il conteggio dei cantoni ha visto 17 si contro 9 no. Da un lato c’erano i cantoni italiani e tedeschi a favore del si, dall’altro quelli francesi per il no, ad eccezione di Basilea città, e si capisce il perché dalle storie che abbiamo raccontato, ma anche Zurigo e Zugo che hanno votato no. Adesso la Confederazione è costretta a rinegoziare l’accordo con l’Ue, poiché entro tre anni dovranno essere fissati i tetti massimi per i permessi di dimora e i contingenti annuali per tutti gli stranieri, al fine di dare la precedenza sul mercato del lavoro ai cittadini svizzeri. Anche questo paradosso, come tanti in Europa in tema di migrazioni, rappresenta in qualche modo la tendenza del nostro tempo, dove una crisi sistemica internazionale, ha prodotto su tutti i territori europei, anche quelli con una vocazione all’accoglienza, egoismi, cannibalismi, distorsioni, tutti termini che se uniti alla parola sociali, danno il senso di come la civiltà contemporanea sia caduta in una voragine oscura… "L’attuale immigrazione incontrollata rappresenta una minaccia per la nostra libertà e sicurezza, per la piena occupazione, per il nostro paesaggio e, non da ultimo, per il nostro benessere". E’ questa l’argomentazione del comitato promotore, il punto è che è falsa, almeno a sentire gli studi di settore condotti dal 2002 al 2013. In una intervista, Peter Gasser, responsabile del dossier sulla libera circolazione, promosso dalla Segreteria di Stato dell’economia, ha detto: "Non abbiamo osservato differenze significative tra le regioni di frontiera e il resto della Svizzera, per quanto concerne l'evoluzione dei salari e il tasso di disoccupazione". Gli fa eco l’Osservatorio Universitario dell’Impiego di Ginevra, che sfata l’idea secondo cui gli stranieri tolgono lavoro agli svizzeri, soprattutto perché i pochi disoccupati "autoctoni", il più delle volte non corrispondono ai profili ricercati, soprattutto nell’ambito del terziario, nei settori sanitario e finanziario. E che dire della punta di diamante del sistema produttivo, cioè l’orologeria? Il 60 per cento degli impiegati in questo settore non hanno passaporto svizzero, per il motivo di cui sopra.

ACCOGLIERE VUOL DIRE INCLUDERE NEL SISTEMA ECONOMICO
 

Ci si accorge subito, camminando tra le strade di Basilea, come qualsivoglia idea xenofoba sia una contraddizione in termini. Anche perché il concetto stesso su cui è nata la confederazione elvetica si rifà al multiculturalismo, poiché nasce come uno Stato di minoranze, senza una maggioranza veramente autoctona, e non tra virgolette, come l’abbiamo utilizzata noi… Non c’è una lingua svizzera, non una religione svizzera e neanche una gastronomia svizzera. A Basilea ad esempio non esiste un mercato alimentare cittadino, come in tutte le più importanti città europee. La semantica scolpita sulle insegne dei luoghi di ristorazione in città ci dice che la fa da padrone la cucina italiana, asiatica e latina, a cui si aggiungono i ristoranti gestiti da turchi che mettono insieme, pizza e kebab. Ma perché, quindi, parlare di contraddizioni in termini? Proprio perché non esiste una identità diciamo antropologica dell’essere cittadino svizzero. Per tal motivo la definizione di cittadinanza, intesa appunto in termini identitari, viene costruita attraverso l’assoluta osservanza alle regole comuni e alle leggi, che ruotano intorno alla possibilità che lo Stato ti da di essere soggetto economico attivo. "Quando sono arrivato a Basilea dalla Sicilia – sottolinea Claudio – ho fatto tantissimi corsi di formazione professionale, oltre a quelli per imparare la lingua. Mi hanno spiegato da subito che gli uffici del lavoro qui non sono come in Italia, ma funzionano perfettamente. Devi far vedere la buona volontà a cercarlo il lavoro…" Lavorare significa consumare, quindi concorrere allo sviluppo del paese: per integrarsi in svizzera non occorre altro… Ecco perché il sistema bancario è il sistema nervoso del paese, che fa da corpo intermedio tra lo Stato e il cittadino. Un esempio visibile in tutta la città anche ad uno sguardo superficiale è quello dei supermercati coop, che nonostante abbiano il logo identico al gruppo imprenditoriale italiano, non hanno con essi nulla a che vedere: ecco quasi ogni supermercato con logo coop a Basilea ha accanto una banca coop…

LA MANIPOLAZIONE POLITICA SULLE SOCIETA' PARALLELE
 

La storia sul referendum contro la libera circolazione delle persone è stata semplicemente l’ultima iniziativa della destra svizzera tendente a far leva sulle fobie di massa del nostro tempo. Questo è un paese dove il benessere viene assicurato proprio dalla capacità del singolo di essere produttore e consumatore, garantendo la sua libertà di autodeterminarsi, poiché solo così può essere confermata la possibilità di proporsi in quanto soggetto attivo. In un contesto siffatto metà della popolazione, soprattutto quelli che vivono nei piccoli centri e nelle aree rurali, assecondano il "canto delle sirene" xenofobo, senza rendersi conto che è proprio la xenofobia a minare le fondamenta del benessere elvetico… Questa contraddizione nasce nel 2009, con il primo grande divieto, tramite referendum, che la destra xenofoba riuscì a far passare. Si tratta del divieto di costruire minareti nelle moschee presenti sul territorio svizzero. Ovviamente, come nel caso della libera circolazione, i promotori hanno costruito uno scenario assolutamente immaginario, facendo leva sulle paure oniriche delle persone. L’articolo 15 della Costituzione federale, così recita: "Si garantisce il diritto di scegliere liberamente la propria religione e le proprie convinzioni filosofiche e di professarle individualmente o in comunità", mentre l’articolo 8 sancisce il divieto di discriminazione. La legislazione federale assicura dunque culto e luoghi di culto, compresi i minareti, poi, per tutto ciò che riguarda la religione e le sue dinamiche sociali la competenza è dei cantoni. Ma perché prendere di mira i minareti? Per il valore simbolico, al fine di accendere la paura della nascita di "società parallele" di tipo islamico, presenti in molte parti d’Europa, cioè gruppi sociali estremamente compartimentati e chiusi sia dal punto di vista sociale che economico, all’interno dei quali possono nascere dinamiche antagoniste al luogo di accoglienza. Un valore simbolico che però nel contesto del territorio nazionale non assume nessun valore. Il minareto, come il campanile cristiano, serve a far arrivare lontano il messaggio che scandisce la giornata liturgica e secondo alcuni studiosi ha anche il significato di conquista o marcatura del territorio. Considerato che nell’intera Svizzera ci sono circa 400.000 musulmani, e solo il 20 per cento è praticante, e considerato che ci sono 200 moschee, di cui solo quattro dispongono di un minareto, e considerato ancora che complessivamente, per il tipo di organizzazione sociale, fondata su precisi precetti socio-economici, il sentimento religioso non è in generale molto vissuto, per tutte queste ragioni si può certamente dire che punire qualsiasi credo per un calcolo di potere, da parte di questo o quel partito, potrebbe realmente portare nel tempo a forme pericolose di ghettizzazione, che otterrebbero l’effetto contrario a quello che pubblicamente cercato. Le grandi città come Ginevra, Zurigo e Basilea a questa contraddizione hanno detto di no…

I NUOVI MIGRANTI
 

Nell’epoca della globalizzazione si sono trasformati i caratteri che formano l’identikit del nuovo migrante. Si prenda il caso italiano ad esempio. Dalla metà degli anni settanta fino al 2007 anche a Basilea si è registrato un forte calo dei processi migratori. Poi, nuovamente gli italiani hanno ripreso ad emigrare. Ma a livello tipologico non sono gli stessi del dopoguerra, quelli di oggi abbracciano tutte le fasce di età. Ci sono giovani che finiscono l’Università e non trovano sbocchi in Italia. Ci sono professionisti che scelgono di lavorare nelle sedi delle multinazionali, trasferendosi con le proprie famiglie … Ci sono i quaranta/cinquantenni colpiti dalla crisi economica che non riescono a "riciclarsi" e provano la fuga … Ma ai migranti economici si aggiungono chi fugge dal proprio paese per mettersi in salvo. Il tema dell’asilo politico ha un valore simbolico molto importante in Svizzera poiché esso nasce con un trattato firmato dagli stati proprio a Ginevra nel 1951. Durante gli anni novanta in città si era costituita una forte comunità rom proveniente dalla Serbia. Quella turca invece rappresenta forse la comunità più strutturata a Basilea, anche perché è stata attraversata da una emigrazione sia economica che relativa alle protezioni internazionali. Ora, l’esempio della comunità turca è piuttosto emblematica rispetto al tema delle società parallele, poiché negli anni l’interesse di questi cittadini non è stato quello di creare luoghi e dinamiche culturali chiuse, ma bensì quello di costruire una rete economico-imprenditoriale efficiente … Dal 2011, cioè dalle primavere arabe, il numero di richiedenti asilo è sempre più numeroso, come in tutte le parti d’Europa. Eritrea, Somalia, RD Congo sono i paesi sub sahariani di maggiore provenienza. Diciamo però una cosa, che, soprattutto nei casi dei nuovi migranti economici, la concessione del permesso di soggiorno è funzionale al livello di integrazione, anzi potremmo dire che il grado di integrazione può condizionare la concessione del permesso di domicilio … Oppure il permesso di breve durata può essere legato all’obbligo di frequentare qualche corso di formazione. Questi obblighi sono stati stabiliti dentro l’accordo d’integrazione a cui anche il cantone di Basilea città ha fatto ricorso. Ad attivare il contratto di integrazione sono i "Centri di competenza per l’integrazione", che sono degli sportelli territoriali che fanno l’accoglienza ai nuovi arrivati. Ed è proprio attraverso questo ente che il migrante deve dimostrare di volersi integrare. "Se vuoi lavorare – continua Claudio - non hai nessun problema a trovare un impiego, devi dimostrare di averlo cercato il lavoro o di esserti specializzato per accedere ai servizi sociosanitari. Allo Stato interessa che un cittadino lavori perché in questo modo fa girare soldi… Io i problemi che ho sempre avuto qui a Basilea sono stati dovuti all’assurdità delle regole burocratiche del Consolato italiano … Pensa che per fare una carta d’identità ci impiegano due mesi, per non parlare del passaporto, cosa impensabile da fare attraverso la rappresentanza italiana".

LE DINAMICHE DEL MELTING POT
 

Fino al 2013 le persone con cittadinanza svizzera erano 6.202200, in aumento dello 0,5 per cento prevalentemente grazie alle naturalizzazioni. E’ anche questo il motivo che spiega il perché non si può parlare di una popolazione originariamente autoctona. Le dinamiche del melting pot svizzero si sono sviluppate più verso una direzione trans-culturale, cioè in linea col concetto di contaminazione, che non verso la tradizionale dimensione dell’integrazione di una cultura ad un’altra. In effetti camminando per le strade di Basilea è estremamente facile incontrare tantissime coppie miste, e questa semplice realtà di per se racconta una storia diversa rispetto a quelle di città europee della medesima estensione, perché Basilea non è Londra e non è Parigi, ma non è neanche Bologna, la cui dimensione urbana è di poco maggiore rispetto a quella di Basilea. Si, perché anche a Bologna sono presenti 160 nazionalità diverse, pur non essendo una città di frontiera, ma un importantissimo snodo viario per tutta l’Europa centrale. Bene, a Bologna, la città più progressista d’Italia, ancora oggi capita di incrociare sguardi diffidenti nei confronti delle poche coppie miste che camminano per strada mano nella mano. Ma c’è un’altra strana vicenda su cui porre lo sguardo, quella che concerne il rapporto tra le diverse generazioni con background migratorio e i cosiddetti "autoctoni" appunto. Prendiamo il tema delle le conoscenze linguistiche. I migranti di seconda o terza generazione parlano solitamente due o tre lingue nazionali, mentre quelli di prima generazione, insieme agli "autoctoni", parlano soltanto una lingua nazionale, cioè quella relativa al cantone di appartenenza. Nel contesto della ripartizione per professioni, invece, i cittadini senza passato migratorio sono portatori di caratteristiche similari ai cittadini di seconda generazione, poiché prevalentemente svolgono attività specializzate: professioni tecniche o intermedie, professioni impiegatizie e commercio, artigianato e operai specializzati. I cittadini di prima generazione al contrario sono più coinvolti nei lavori non qualificati: conduttori di impianti e macchinari, addetti al montaggio. C’è da notare che le persone di prima generazione segnalano spesso la necessità sociale di migliorare le proprie conoscenze linguistiche per accedere a posizioni più qualificate. "Quando si parla di lavori non specializzati in Svizzera, - conclude Claudio - mi viene un po’ da sorridere, se penso allo stesso significato che si da a questa espressione in Italia. Secondo me, in questo senso, non ci sono lavori non specializzati, perché qualsiasi cosa ti fanno fare qui, prima devi certificare di aver frequentato corsi di formazione su quello specifico ambito di lavoro…"

LA DIMENSIONE URBANA IN MOVIMENTO
 

Percorrendo il ponte di Mittlerebrücke, letteralmente ponte di mezzo, a quanto sembra, il più antico mai costruito sul Reno, ad opera di Enrico di Thun, si vede già in lontananza che il letto del fiume s’incunea a forma di gomito verso la Germania. E dire che per secoli quello fu l’unico ponte, dei quattro attuali, a collegare la città grande sulla sinistra da quella piccola sulla destra. Il maggiore sviluppo si ebbe nella parte sinistra, se non altro perché la riva era più alta, con ampi spazi liberi e minori ostacoli dietro. Il particolare sistema morfologico originario di tipo circolare si evolse a forma di poligono, per tornare oggi all’antica sagoma, con dimensioni ovviamente maggiori. Le strade ampie e regolari sono suddivise lungo i sette quartieri della riva sinistra e i quattro su quella destra. E’ chiaro che il modello di sviluppo della città, soprattutto negli ultimi quindici anni, ha avuto un andamento teso ad incidere sulla struttura stessa della popolazione. Il tema è stato, e continua ad essere, quello relativo alle strategie finalizzate ad impedire la formazione di luoghi catalogabili per classi sociali, con zone residenziali per i ricchi e quartieri per i poveri. Una strategia oculata, realizzata attraverso la valorizzazione dei vecchi quartieri popolari, dove si è provveduto a ristrutturare gli edifici fatiscenti, rimettendoli sul mercato a prezzi relativamente calmierati, attraendo in questo modo la classe media come i ceti più deboli. Il progetto che forse meglio rappresenta la visione che sta alla base dell’assetto metropolitano ha riguardato la trasformazione funzionale dello scalo merci ferroviario. Un’area di 250000 mq a cavallo tra la tangenziale e alcuni quartieri ad alto tasso di edifici, con poche aree disimpegnate. Il progetto ha previsto la costruzione di spazi verdi, servizi, l’insediamento sistemi produttivi ma soprattutto nuovi edifici.

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photo credits Marco Marano