IL GIORNO DELL'ECATOMBE 

E I FALSI PIANTI DI COCCODRILLO

4 ottobre 2013

 

By Marco Marano

Una mattina come tante

 

Cinquecento esseri umani stipati in un barcone si dirigono verso le coste italiane. La maggior parte di loro sono somali ed eritrei che fuggono da guerre tribali trentennali. Perchè, occorre dirlo, bisogna smetterla con questa storiella che i migranti vengono a cercare una vita migliore, l'ottanta per cento dei migranti che arrivano via mare, scappano dai loro paesi per salvarsi la vita. Sarebbe cosa buona e giusta che i mezzi d'informazione spiegassero cosa succede in Eritrea o in Somalia o anche in Siria, al di là della linea rossa disegnata dal governo americano...

 

Una volta entrati nel canale di Sicilia tre pescherecci li avvistano e malgrado quella povera gente invochi il loro aiuto questi fanno finta di niente. Certo, sono lì per lavorare, devono pescare, hanno le loro famiglie a cui badare, anche perché spesso, a quei pescherecci che lavorano in quel pezzo di Mediterraneo, capita, quando raccolgono le reti, di trovare corpi o pezzi di corpi impigliati. Poi magari li raccolgono e li portano alle varie capitanerie, che anziché ringraziare, fermano i loro pescherecci per giorni se non per settimane, impedendogli di fare quel lavoro che permette di sopravvivere a loro e alle loro famiglie. Quindi è meglio stare alla larga dai migranti quando si pesca, che siano vivi o morti…

 

Ma in una mattina di ottobre come tante, cinquecento persone terrorizzate, che stanno in un barcone da due giorni senza potersi muovere, riescono ad arrivare a pochi chilometri da Lampedusa. Fortunatamente non vi sono scafisti che li costringono a buttarsi in mare come e successo pochi giorni prima, però sono disperati e pensano che da un momento all'altro potrebbero soccombere. Allora diventa necessario attirare l'attenzione. Accendono dei fuochi per farsi vedere da qualcuno sulla costa e una perdita di carburante fa andare a fuoco il barcone. Tutti a mare. Quando i primi soccorritori, altri pescatori che rispettano la legge del mare, cioè quella di dare soccorso a chi è stato preso dal mare, arrivano trovano centinaia di donne, anche incinte, bambini, uomini che stanno per annegare. Poi sopraggiunge la capitaneria di porto: centocinquanta circa, si salvano gli altri non ce la fanno.

Una ecatombe annunciata

 

Questa non è una storia come tante è una storia che solo in un paese come l'Italia può succedere. Perchè è di questo che si tratta, cioè di una classe politica inetta che riesce a piangere davanti a tragedie come questa e non è in grado o non è interessata a pianificare un sistema di gestione di un fenomeno strutturato, al di là delle responsabilità dell'Unione Europea. Perchè è questa l'accusa che il Consiglio Europeo, un giorno prima dell'ecatombe nel canale di Sicilia, ha mosso all'Italia. Un paese che ha costruito la sua legislazione sulla cultura del respingimento, della non accoglienza, dell'emergenza umanitaria di comodo, rifiutandosi di accettare che questa storia degli sbarchi non è una emergenza, ma un fenomeno sistemico della nostra epoca.

 

Pensare di risolverlo con falsi accordi, come quello con la Libia stilato proprio dal governo Monti, in tutta segretezza, e denunciato a suo tempo da Amnesty International, è davvero mostruoso. Si tratta dell'esternalizzazione sul controllo dei processi migratori, che è affidato al governo libico, il quale ovviamente non controlla un bel niente, e in un certo senso forse è meglio così, visto che se cadi nella rete delle forze di sicurezza libiche pestaggi, stupri, torture e arresti arbitrari non te li leva nessuno, sia con Gheddafi che dopo. Il buon senso di un governo, in un paese civilizzato, imporrebbe che, in una situazione epocale come questa, anzichè rafforzare il sistema militare con aerei da combattimento super moderni, che poi tanto moderni non si sono rivelati, sarebbe più opprtuno implementare il controllo del canale di Sicilia con navi attrezzate al soccorso, per pattugliare stabilmente quel pezzo di Mediterraneo. E poi, anzichè costruire le carceri chiamate CIE, perchè non costruire dei veri e propri centri di accoglienza organizzati, sia per il primo soccorso che per le richieste di protezione internazionale, nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951? Perchè, occorre dirlo a chi non lo sapesse, l'Italia ha aderito, nel '51 appunto, ad un trattato che obliga gli stati ad accogliere, e dare asilo a chi, nel proprio paese, rischia l'incolumità.

Il corridoio umanitario unica soluzione possibile

Certo, l'Europa le sue responsabilità le ha, e pure forti, come l'assenza di corridoi umanitari, chieste a gran voce dal sindaco di Lampedusa. O come ancora la presenza della regola di Dublino 2 che obliga i richiedenti asilo a restare nel primo paese europeo dove gli vengono prese le impronte digitali, una norma questa fuori dal tempo e inumana. Magari, però, prima di aspettare che l'Europa diventi solidale, sarebbe il caso che l'Italia si trasformasse in un paese evoluto, al punto tale da pianificare strategicamente il sistema dell'accoglienza, evitando di lavarsi le mani ogni sbarco di profughi sulle coste italiane... Un'ultima annotazione nei confronti del popolo siciliano, un popolo intriso di cultura mafiosa ma che in questi mesi sta dando una lezione di civiltà a tutto il mondo: da siciliani possiamo dire, per la prima volta, di essere orgogliosi del proprio popolo.