In due giorni una vita

La vera storia di una fuga, nel quadro della guerra civile ivoriana

di  Marco Marano

In viaggio tra rimorsi e pianto

Erano le tre del mattino e mezz'ora dopo l'aereo della Royal Air Maroc avrebbe decollato. L'aereoporto  Senou di Bamako era ancora stranamente affollato a quell'ora. Christelle non riusciva a stare ferma. Si alzava e si sedeva continuamente nell'attesa di imbarcarsi. Aveva gli occhi stanchi e pieni di paura. L'uomo che l'accompagnava, Monsieur Kaschi, era quello che le aveva fornito il biglietto aereo ed un passaporto falso, pagati con soldi ivoriani, cioè franchi cosiddetti CFA. L'avrebbe accompagnata fino a Bologna al fine di riprendersi il passaporto. Ma era davvero sola, adesso. I suoi vent’anni vissuti spensieratamente chissà come avrebbero retto a tutto quello che le stava succedendo. La sua mente in quel momento era concentrata a pregare Dio che le salvasse la madre da quel brutto male che in Mali non poteva curare. Aveva voglia di piangere ma non aveva neanche la forza per farlo. Sua madre stava morendo senza di lei e il padre gli era stato ammazzato un paio di mesi prima dagli ex ribelli del Nord. Era sola adesso.

Appena entrata in aereo Christelle si affidò a monsieur Kaschi per individuare i posti a loro assegnati: “E' questo il tuo, 71 A, proprio accanto al finestrino”. Il suo sguardo era assente, sembrava che si trovasse in una stanza piena di fantasmi che gli volavano intorno. Il suo bellissimo viso, dolce e delicato, pareva vittima di un trauma interiore di cui ancora non era pienamente cosciente. Tutti i passeggeri intanto avevano preso posto e l'aereo cominciava le prime manovre di accensione. La rotta era Bamako-Bologna, con scalo a Casablanca. Dalla carta d'imbarco, che continuava a tenere in mano, leggeva continuamente gli orari di volo: alle 6,55 sarebbe atterrata a Casablanca per ripartire alle 8,20 ed arrivare a Bologna alle 12,25. Quale sorte le sarebbe toccata una volta giunta in quella sconosciuta città italiana non poteva immaginarlo, l'unica cosa che sapeva era di presentarsi alle autorità preposte, e avviare la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

L'aereo prese il volo e  Christelle chiuse gli occhi. Qualche ora di sonno sarebbero state un toccasana per lei, ma era difficile riuscire a dormire. I fantasmi entravano e uscivano dalla sua mente. Stava scappando da un destino avverso e proprio in quel momento quante cose avrebbe voluto dire ai suoi genitori, cose mai dette, cose nascoste, come nascoste sono le monellerie di una ragazza di vent'anni. Certo, lei era una ragazza piuttosto vivace che, come si suol dire, faceva disperare i genitori, tanto che sia papà Hassan che mamma Louise ad un certo punto decisero di non metterle più troppi paletti, ma tre o quattro regole fondamentali a cui doveva rispetto. Tanto le monellerie le avrebbe fatte ugualmente, come quando, scappava via di casa i fine settimana, per andare a divertirsi ad Abidjan.  Era un amore smisurato che avevano per la loro unica figlia. In qualche modo, quell'amore, rappresentava una delle due dimensioni assolute della loro esistenza, l'altra erano le imprese commerciali che insieme si erano costruiti con anni di duro lavoro e fatica: quello era il loro secondo amore...

Le ragioni dell’odio

Gli eventi che hanno caratterizzato la Costa d'Avorio dal 2002 sono difficilmente codificabili nelle categorie che appartengono alle guerre tra i popoli, dove potere politico, interessi industriali e appartenenza etnico-religiosa si sono incrociati a vari livelli lungo tutto il ventesimo secolo e oltre. Se le guerre che attualmente sono combattute in Africa hanno un comune denominatore nel tribalismo, dato che principalmente coinvolgono le popolazioni civili, o neo-tribalismo, visto che le armi usate appartengono alla contemporaneità, quello che è successo in Costa d'Avorio, per alcuni versi, ha più i caratteri di una guerra di tipo feudale del nostro medioevo. Perché ad esercitare violenza sul territorio sono dei veri e propri clan, che dal 2002 si sono decuplicati. All'inizio vi era un'unica organizzazione militare ribelle, le Forces Nouvelles, dove convivevano tre ex gruppi autonomi. A questi si aggiungevano numerose formazioni mercenarie che operavano ai confini con la Liberia e la Sierra Leone, combattendo per il miglior offerente.

Ci sono molti aspetti particolari in questa vicenda che in qualche modo la rendono unica. Innanzitutto i motivi che hanno scatenato la guerra, motivi inizialmente difficili da leggere dall'osservatorio europeo. C'è innanzitutto la strana storia di una ordinanza del governo per smobilitare due guarnigioni, i cui ufficiali per organizzare una protesta, diciamo così, vigorosa cercano di coinvolgere alcuni esiliati promotori del precedente colpo di stato, che hanno ancora un certo ascendente nelle forze armate nazionali. C'è poi la vicenda del dissesto economico che il paese vive negli ultimi anni. La Costa d'Avorio è una delle nazioni più sviluppate dell'Africa sud sahariana. La funzione strategica del porto commerciale di Abidjan è una delle chiavi di lettura della circolazione delle risorse per l’intero paese, tanto che proprio in seguito alla crisi prima e all'instabilità indotta dalla guerra interna dopo, non poté più servire da polo di attrazione per alcune aree limitrofe, come il Mali, paese senza sbocco sul mare che a sua volta viene travolto da una crisi interna di sistema. Ma la principale chiave di lettura è sicuramente la gestione delle materie prime e soprattutto del cacao, di cui la Costa d’Avorio è leader mondiale nella produzione ed esportazione.

Sulle piantagioni di cacao c’è tutta un’altra storia da raccontare che risale al 1995, quando l’allora capo di stato Henri Konan Bedié, succeduto al padre della patria Houphouet-Boigny, per contrastare le mire di potere del suo rivale Alassane Ouattara si inventò il mito della purezza etnica ivoriana, facendo breccia tra ampie fasce della popolazione, generando un conflitto sociale latente. In Costa d'Avorio esistono una sessantina di gruppi etnici cosiddetti autoctoni, e poi svariate nazionalità africane, mediorientali ed europee che hanno migrato dagli anni quaranta fino agli anni novanta, creando commistioni tra ceppi sommariamente definiti non autoctoni. Tutto questo nel contesto generale di un paese diviso in due: il nord musulmano e il sud cristiano. Durante il lungo regno del Presidente  Houphouet-Boigny la dimensione multietnica era diventata proprio uno dei punti di forza sia della filosofia del potere che dello sviluppo produttivo, facendo diventare la Costa d'Avorio una delle aree più stabili ed economicamente progredite dell'Africa.  Con la morte del leader carismatico la sua eredità non fu assunta da nessuno, anzi la lotta per il potere iniziò a provocare la caduta negli inferi, che pochi anni dopo, cioè durante gli eventi che stiamo raccontando, porterà a galla un barbaro conflitto civile. Ma come ogni storia che si rispetti, riguardante gli scontri di civiltà che siano essi endogeni o esogeni, dietro il mito della purezza etnica ci stanno degli interessi da gestire, perché le piantagioni di cacao sono prevalentemente localizzate nel sud del paese ma gestite da imprenditori provenienti dal nord.

Sta di fatto che le politiche nazionaliste del nuovo governo in carica producono una forbice socio-economica sempre più ampia tra ricchi e poveri, considerato che questo paese è uno dei pochi dove esiste una classe media, proveniente dai commerci e dalle imprese, nelle aree urbane, e dalle piantagioni nelle aree agricole.                                          

Però, da questo momento in poi, ci sono altre storie che si dirimano, che si perdono nei meandri dell'interpretazione storica. Una di queste è la diaspora. Si, perché già nei mesi immediatamente precedenti allo scoppio della guerra civile, nell'estate del 2002, molte famiglie non autoctone del nord furono stimolate ad andare via dal governo nazionale, perché la guerra era imminente e loro sarebbero stati presi di mira dai ribelli. Poi ci furono le successive espulsioni di massa, gli sfollamenti, la fuga di decine di migliaia di persone dai loro villaggi nei bush, per salvarsi dalle ritorsioni trasversali dei clan. Quello che è successo si può semplicemente sintetizzare nel fatto che attraverso il tema etnico le organizzazioni criminali hanno potuto saccheggiare villaggi e città, producendo fughe di massa, interne ed esterne... Tutto questo ha creato una situazione tale che rende impossibile poter fare un censimento esatto sulle famiglie. Ma la cosa ancora più paradossale è che l'impossibilità di censire la nazione diventa uno dei motivi che ha sempre impedito di indire le elezioni per normalizzare il paese: se il cane si morde la coda, vuol dire che qualcuno ci marcia...

I pensieri girano ancora

I pensieri girano in quella notte assurda, e le sentinelle della coscienza urlano il loro altolà, come carcerieri di una vita che si è infranta in un specchio di ombre. I pensieri girano sempre, ma senza la direzione di una strada maestra. Vagano per le vie laterali dei ricordi, dove l'immagine dei propri genitori si sgretola continuamente, così come si è sgretolato il suo mondo. Sono strade tortuose, interrotte dai vuoti d'aria dell'aereo. E’ un tragitto colmo di ostacoli e di trappole, le stesse che hanno portato il suo destino dentro una vita che non è la sua, che non può essere la sua. Perché di quelle trappole lei non ne sapeva niente, l'agiatezza che Hassan e Louise avevano costruito attorno alla loro figlia, serviva in qualche modo a difenderla da tutto quello che in Costa d'Avorio stava succedendo, come, appunto, le fughe che  la ragazza programmava con dovizia di particolari.

Aspettava che il venerdì pomeriggio i genitori uscissero di casa per recarsi al ristorante, pensava che presi dai problemi e dalla stanchezza di quei due giorni infernali di lavoro, non si sarebbero accorti di nulla. Il primo ostacolo da superare erano gli uomini della sicurezza che vigilavano sulla casa dei Barigalle. Le disposizioni che loro avevano a proposito di Christelle erano abbastanza chiare: uscire o rientrare ad una certa ora, di volta in volta indicata dai genitori. Lei sapendo che doveva ingraziarsi la benevolenza di quegli uomini, per farli tacere, li corrompeva con grosse cifre di danaro, visto che aveva comunque la possibilità di maneggiarne in buone quantità. S'incontrava poi col suo gruppo di amiche e in treno partivano per Abidjan. Anche se era in corso una sorta di guerra civile non sembrava proprio che questa potesse essere un ostacolo alla voglia di vivere la sua giovinezza in allegria. Nel suo troller rosa, che amava abbinare ai vestiti dello stesso colore,  teneva i suoi abiti più sexy per la sera, e nella sua borsa Dolce e Gabbana, tutte le cose che una ragazza di quell’età può avere, insieme a quattro cellulari ed un portafoglio colmo di banconote. Alla madre diceva che il padre non le aveva dato i soldi per il fine settimana, al padre diceva la stessa cosa della madre. Così sempre. Quando Hassan e Louise si accorgevano del trucco le facevano la solita romanzina, e tutto tornava come prima… La settimana seguente avrebbe fatto lo stesso gioco… Tutto sommato, per come si erano messe le cose a Bouake, che la ragazza passasse il suo tempo fuori dalla città, e soprattutto in luoghi protetti, dove la famiglia Barigalle era conosciuta, per loro andava pure bene.

Una volta arrivata ad Abidjan con le amiche si recava all’Hotel Intercontinental, tra i più esclusivi della città, per prendere una stanza: ovviamente avrebbe pagato lei. L’Intercontinental per quelle giovani ragazze era una sorta di eldorado della bella vita: ricchezza e agiatezza allo stato puro, tra piscina e idromassaggio, colazione in camera e uomini di un certo livello da cui farsi corteggiare. Lì, Christelle era conosciuta da tutti, dal portantino, che ogni volta le faceva gli occhi dolci, e lei ricambiava con un sorriso, al portiere che appena la vedeva sapeva che stanza darle: “Buon giorno signorina Barigaulle, la stavamo aspettando, senza di lei questo hotel non è lo stesso!” Il suo nome era importante all’Intercontinental...

Papà Hassan era conosciuto ad Abidjan, la sua scalata sociale era partita proprio da lì. Lui, libanese di nascita, sposato con una ivoriana doc, in pochi anni era riuscito a costruirsi a Bouake un piccolo impero commerciale. Prima un emporio, che in pochi anni diventerà tra i più grandi della città, e poi il ristorante Au Pacha, frequentato dal mondo ivoriano che contava. Per uomini d’affari, politici, militari francesi, turisti che provenivano da Abidjan era quasi un obbligo andare a mangiare da Hassan. C’è da dire che la famiglia Barigalle era ben integrata nel territorio, in pochi anni, infatti, riuscirono a costruirsi una posizione socio-economica alta, guadagnata con un impegno ed una dedizione al lavoro assolute. Una famiglia invidiabile per il contesto sociale di Bouake, anche perché era ben voluta da tutti. Era una delle tante famiglie non autoctone, cioè prodotto dei flussi migratori in Costa d’Avorio. Un ricco e affermato commerciante, insomma, libanese e cristiano... In un certo senso, questa sarà anche la sua condanna a morte...

 

La notte in quell'aereo sembrava non passare mai. Christelle chiudeva e apriva gli occhi in continuazione. Poi guardava l'orologio, erano ancora le cinque, quasi due ore per arrivare a Casablanca. Si girava ogni tanto verso Monsieur Kaschi, ma quello dormiva beatamente, anzi era il più fantasma di tutti. Due ore per telefonare a Konate, l'amico di famiglia che aveva aiutato lei e la madre ad arrivare a Bamako e aveva anche contattato Monsieur Kaschi per il viaggio della ragazza.  Chiuse ancora gli occhi e per pochi secondi riuscì ad addormentarsi. Poi li riaprì. Erano terrorizzati. Scoppiò a piangere. Si mise le mani sul volto come per non farsi sentire, ma comunque tutti dormivano. Sua madre era morta. Ebbe un sussulto, come una sorta di presentimento. Forse di più di un presentimento perché lo sentiva dentro, era come se i suoi nervi fossero stati investiti da un maremoto invisibile. Aveva sentito qualcosa. Aveva sentito che mamma Louise era morta. Non riusciva a tenere le lacrime Christelle. Piangeva e singhiozzava come una bambina che si è persa e non trova più la mano che l'accompagna. Lei donna/bambina, lei ragazza/donna, con la sensibilità di una bambina, l'impudenza di una ragazza,  la caparbietà di una donna. Piangeva e singhiozzava: qualcosa le aveva comunicato che la sua mamma non c'era più. Adesso i pensieri si erano spenti, perché il pianto aveva rotto i circuiti dei ricordi, i suoi nervi ed i suoi muscoli erano a pezzi. Pianse fino alle sei del mattino, poi si addormentò per la stanchezza.

La guerra delle maschere

Tante storie che si vanno ad incrociare e rendono assolutamente ingarbugliata la matassa da districare. Cerchiamo di leggerle attraverso l’uso delle maschere. Nella storia del teatro e della letteratura le maschere hanno sempre assunto una funzione esplicativa della realtà:  il principe o il guerriero, il bravo o il codardo, il traditore o l'eroe. 

Il Principe è  Laurent Koudou Gbagbo. Professore di Storia all’Università di Abidjan e Preside della facoltà di Lingue, dopo aver fondato il Fronte Popolare Ivoriano, è costretto, nell’85, all’esilio in Francia, per rientrare qualche anno dopo, giusto in tempo per candidarsi, con scarso successo, alle elezioni presidenziali del ‘90. Lo ritroveremo nel 2000 sempre come candidato alla medesima carica. Il suo rivale è  il leader militare Robert Guéï, che si dichiara vincitore. Scoppia una rivolta ad Abidjan, poiché Gbagbo afferma di aver vinto lui con quasi il 60% dei voti. Guéï scappa e Gbagbo si insedia nella carica: finalmente diventa Principe, anche se l’amministrazione Clinton non lo vuole riconoscere, per la poca chiarezza nella gestione delle elezioni.

Ma torniamo per un attimo alle motivazioni del tentativo di colpo di stato che due anni dopo cercherà di defenestrarlo. Perché c’è un’altra versione, dove entra in gioco un altro Principe, assai più potente del Presidente in carica, che però nella messa in scena degli eventi ivoriani assume una dimensione strettamente legata alla maschera del Potere in quanto tale: è la Francia. Attenzione, non si tratta della Francia rappresentata dal questo o quel Presidente, ma la Francia come Potere di condizionare le ex aree coloniali attraverso la cosiddetta Françafrique. Infatti, una delle altre storie che sono uscite fuori da questa vicenda è che la ribellione sarebbe stata fomentata, soprattutto con l’intervento dei mercenari, tra Liberia, Sierra Leone e Burkina Faso, proprio dal governo francese, per destabilizzare il Principe ivoriano, considerato troppo nazionalista, al punto da minare gli interessi economici del paese d’oltralpe. Secondo questa nuova interpretazione degli eventi in Costa d’Avorio, non ci sarebbe stata una vera guerra civile ma un’attività di guerriglia che inizialmente aveva i punti forti nelle città di Abidjan al sud e Bouake al nord. Non riuscendo nell’impresa di sovvertire il Principe ivoriano si è dunque creata la situazione per cui Abidjan, capitale commerciale del paese, è rimasta al Potere costituito, e dal punto di vista sociale si è normalizzata, mentre Bouake è andata ai ribelli, diventando ricettacolo di violenza e degrado morale, tale da farla sprofondare nel medioevo appunto.

Certo, anche questa interpretazione risulta difficilmente leggibile se contestualizzata all’evoluzione dei fatti, considerato che le Nazioni Unite avevano da subito dato il loro sostegno al governo eletto e la Francia non poteva certo, nemmeno ufficiosamente, come fu per decenni nello stile degli Stati Uniti in Sud America, apparire come sponsor dei guerriglieri. Quando nel 2002  le tre organizzazioni militari si riuniscono a Bouake sotto un’unica regia politica, chiedono immediatamente alla Francia di restare fuori dai giochi e che ogni rappresaglia militare nei confronti dei ribelli sarebbe stata considerata un atto di guerra a tutti gli effetti. Questo perché l’esercito francese, nei mesi precedenti, era intervenuto contro i ribelli nelle città di Man e Duekoue, sempre nel nord del paese. L’elemento ancora più assurdo che si va ad aggiungere è che soltanto pochi mesi dopo i francesi cominciarono ad essere attaccati anche dai governativi, per poi raggiungere un accordo di non belligeranza.

Ufficialmente l’esercito francese era presente in Costa d’Avorio, per controllare il cessate il fuoco concordato nell’ottobre del 2002: una tregua restata sulla carta. La Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale intanto aveva deciso l'invio di 1.500 uomini da impiegare accanto al contingente francese. Dopo si aggiungeranno i caschi blu dell’Onu, e tutti insieme per cinque anni controlleranno una sorta di linea Maginot, chiamata zona di confidenza, che si estendeva tra est e ovest dividendo in due il paese: il nord controllato dai ribelli e il sud dal governo eletto.

E il guerriero chi è in questa storia? Si chiama Guillame Soro ed è il capo dei ribelli delle Forces Nouvelles. E’ colui il quale dopo le prime settimane di battaglia prende in mano il nord del paese, fomentando azioni di guerriglia. Ma Soro è un guerriero sui generis perché anziché fare la guerra di movimento, mantiene il controllo di una determinata area del paese, attraverso i clan. Il suo quartier generale è a Bouake; nel momento in cui si insedia costruisce il suo sistema di controllo territoriale, all'interno del quale c'è un patto con i ceti produttivi, a cui vengono garantiti protezione per loro, le loro imprese e le loro famiglie al costo di un pizzo mensile sui guadagni. Così fu anche con Hassan Barigalle. Nell'accordo che aveva stilato con lui e con gli altri imprenditori e commercianti della città si stabiliva anche che quando Soro sarebbe riuscito ad andare al potere,  tutti avrebbero smesso di pagare la protezione, poiché la situazione si sarebbe normalizzata. Infatti, è proprio lui il referente dei tavoli per le trattative di pace, che si susseguono negli  anni senza alcun risultato.

Bouake, un milione di abitanti, era già da diversi anni un caso-tipo di decadenza morale, a causa dei crimini contro l'umanità. Paradossalmente c'erano due città parallele: la prima era quella, appunto, dei ceti produttivi, della borghesia, soprattutto non autoctona, che pagava la protezione a Soro e riusciva a garantirsi una vita assolutamente normale, tanto che Christell, come alcune sue amiche, non si rendeva pienamente conto che attorno a lei c'era un conflitto. Era la città del miscuglio etnico, combattuta dal falso mito dell’ivorianità. Poi c'era la città sodomita, cioè la città sprofondata negli inferi, perché la guerra in Costa d'Avorio è stata proprio questo. C’è un evento che è abbastanza significativo per spiegare cosa succedeva a Bouake. Nei vari scontri che si sono succeduti tra esercito regolare e ribelli l’obiettivo era sempre quello di riconquistare la città. Dopo uno di questi attacchi il ministero della difesa annunciò che la città era stata presa e che l’esercito regolare l’aveva posta sotto il suo controllo. In alcuni quartieri si sollevò una sorta di caccia ai ribelli, la cittadinanza stessa uccise alcuni di questi incontrati per strada. La vendetta fu atroce. Vennero massacrate decine e decine di persone, le donne furono indotte in schiavitù e i bambini furono venduti ai ribelli che controllavano le zone boschifere.

Esodi, sfollamenti, persecuzioni, massacri hanno smembrato migliaia di famiglie. Chi ad esempio apparteneva all’amministrazione pubblica veniva trucidato a colpi di machete. Così donne e ragazze rimaste sole sono state rapite e schiavizzate dai capi clan, costringendole, attraverso brutali riti di iniziazione, alla sudditanza. Ai figli troppo piccoli di alcune di  queste ragazze è stata riservata una fine terribile: dentro delle fosse comuni. Dopo aver soddisfatto le voglie dei bravi, le donne venivano fatte prostituire nei locali della città, i cui clienti erano normali cittadini, ribelli o addirittura funzionari dell’ONU.

Poi, nel 2007, in Burkina Faso c’è la svolta. Viene raggiunto un accordo, poiché dal tavolo del negoziato rimane esclusa la mediazione internazionale con in testa la Francia: il Principe rimane presidente ed il Guerriero diventa primo ministro.

Quello è uno dei due giorni che cambieranno la vita di Christelle, come di tante altre persone, ma lei in quel momento non può saperlo... Questo perché da quel giorno la situazione nel nord anziché regolarizzarsi con la resa delle armi da parte dei clan e la riorganizzazione di un esercito regolare, va a peggiorare. I clan si spezzettano in sottogruppi praticamente anarchici, rifiutando di deporre le armi. Perché? E cosa determina questo nella vita della famiglia Barigaulle?

Scalo a Casablanca

Il segnale di allacciare le cinture di sicurezza era scattato. Christelle dormiva ancora. Venne svegliata dall'hostess: “Scusami, ma devi allacciare la cintura!” Con gli occhi pesti e un gran mal di testa, per quanto aveva pianto, obbedì. I suoi nervi erano spenti. Quel macigno enorme che si stava portando appresso, sembrava schiacciarla. Ma lei con il temperamento della donna caparbia cercava di raccogliere le forze e non farsi travolgere. Lo stesso temperamento che due anni prima  rese felice suo padre. Papà Hassan voleva metterla alla prova, per vedere se i suoi insegnamenti, ad una figlia vissuta nel lusso, avevano sortito degli effetti. Un giorno, sempre in presenza di mamma Louise, le fece un regalo straordinario: due milioni di franchi ivoriani e le disse: “Fanne quello che vuoi!” Dietro quella frase però c'erano tanti significati. Ma anche una domanda fondamentale: cosa ne avrebbe fatto, proprio lei, di tutti quei soldi? Vestiti, borse, scarpe, eccetera. In effetti un sogno ce l'aveva: andare a studiare  Londra, nella parte economicamente più avanzata dell'Europa. Ma questo gli era precluso poiché il padre non la voleva così lontano da lui.        

Per papà Hassan, una mattina di inizio estate del 2006, fu forse uno dei giorni più appaganti della sua vita. Mamma Louise già la sera prima gli aveva detto di tenersi libero per la giornata successiva poiché doveva portarlo in un posto molto particolare. Assolutamente ignaro di tutto, quella mattina uscì di casa con sua moglie che, alle insistenti richieste di spiegazione dell'uomo, rispondeva con dinieghi e mezzi sorrisi. Passarono con l'auto lungo la  strada del loro ristorante, duo o tre isolati dopo si fermarono proprio davanti ad un negozio. Si chiamava Boutique Renè era un negozio di cosmesi e bellezza femminile. Entrarono e furono accolti dalle due impiegate: “Buon giorno signori Barigaulle, vi stavamo aspettando.” L'uomo si girò verso la moglie con una smorfia, come per dirgli: “Ma che significa?” E lei gli rispose con quel mezzo sorriso ormai scolpito: “Aspetta un attimo che chiamo la padrona.” Entra in direzione e urla: “Allora Capo, fatti vedere...” Quando papà Hassan vide uscire da quella porta sua figlia, capì ogni cosa... Capì che il suo insegnamento era stato accolto, e che senza chiedergli aiuto la figlia aveva accettato la sfida del padre. Fu l'uomo più beato del mondo perché quei soldi Christelle li aveva investiti in un'impresa commerciale. Aveva fatto tutto lei, certo, con l'aiuto fondamentale di mamma Louise, ma era riuscita a mettere su un negozio legato al suo modo di essere, cioè quello dell'apparire, con una professionalità straordinaria. Scelta dei prodotti, fornitori, servizi di make-up, aveva pianificato tutto: due impiegate e lei alla gestione della contabilità. Non riusciva proprio a credere ai suoi occhi papà Hassan quella mattina...

In quell'aereo Christelle sentiva che la tragedia in cui si era imbattuta non era una prova a cui la vita la stava sottoponendo, era di più: una violenza, attraverso cui le veniva strappata l'anima. Intanto l'aereo stava atterrando a Casablanca. Erano quasi le sette del mattino e fra poco avrebbe avuto notizie di mamma Louise. Una volta atterrati, i passeggeri scesero ordinatamente dalle scalette per il cambio d’aereo: c’era circa un’ora d’attesa. Stretta in se stessa Christelle si diresse  con Monsieur Kashi verso il controllo documenti e poi direttamente al gate per il nuovo imbarco. Andò a rimettersi un po’ in sesto in bagno e dopo si posò su una poltroncina. Prese il cellulare e telefonò. Konate ci mise un pò per rispondere. Quando la ragazza iniziò a parlare, l’uomo rimase in silenzio e poi pronunciò le parole: “Fatti forza, tesoro, la mamma non c’è più…” Christelle non disse niente, restò muta. L’uomo, dall’altra parte del telefono cercò di confortarla con parole dolci. Poi si salutarono.

Christelle restò seduta e iniziò a piangere, un pianto sacrificale più che catartico. Piangeva sola con se stessa, per quella vita che gli era stata portata via… Piangeva e singhiozzava, erano spasimi di pianto che non riusciva a contenere, che non voleva contenere. Monsieur Kaschi la guardò per un attimo impietosito e poi si girò dall'altra parte.  Davanti a lei c’era un’altra ragazza seduta, che la osservava con uno sguardo anch’esso sofferente. Le si avvicinò, si sedette accanto a lei, le accarezzò i capelli intrecciati come tante ragazze africane usano portare. Non le disse niente, semplicemente la abbracciò e le porse la sua spalla per piangere. Christelle si strinse forte a quella sconosciuta. Una piccola boa fatta di calore umano per quell’anima strappata.

Si chiamava Désiré, era congolese, anche lei era in fuga e anche per lei due giorni avevano segnato per sempre la sua vita. Il primo giorno fu quando entrarono in casa sua,  in un villaggio vicino a Kinshasa, un gruppo di ribelli. Per un mese la stuprarono quasi ogni sera davanti ai propri figli, picchiando il marito. Il secondo giorno fu quando, uno dei quattro figli di undici anni protestò mentre stupravano la sua mamma. Due di quelle belve si occupavano della donna, un altro prendeva il piccolo per i capelli, sparandogli in testa. Quel giorno i ribelli portarono via il marito da una parte e lei da un’altra, mentre gli altri tre figli riuscirono a fuggire…

Processo ai bravi

Quando si forma il nuovo governo in Costa d'Avorio i nodi politici da sciogliere sono  principalmente legati all'impossibilità, quasi “tecnica”, di normalizzare il paese, poiché la titolarietà della gestione del territorio ce l'hanno i clan militari, o per meglio dire gli ex clan militari, i cui componenti da adesso in poi verranno definiti ex ribelli. Ed è proprio questo il punto. Perché il nuovo posizionamento di Soro garantisce se stesso e pochi altri, la gran massa di bravi che fino a quel momento si sono arricchiti negli anni della guerra, restano sul campo a saccheggiare il territorio, rifiutando di consegnare le armi. La popolazione civile diventa preda di bande che si sono ancor di più frammentate e ricomposte, dentro un'area territoriale assolutamente senza legge. Non solo, ma il fatto che il controllo del territorio voglia dire guadagni, mette in competizione le bande tra loro. Queste si fanno guerra a vicenda, utilizzando  ritorsioni e regolamenti di conti in perfetto stile mafioso. Come in stile mafioso sono le pax, cioè gli accordi di non belligeranza o addirittura di collaborazione tra clan diversi. 

I boss di queste bande sono dei crudeli criminali che taglieggiano i cittadini, riducono in schiavitù donne e bambine, trafficano in organi, cercano cioè di arricchirsi a più non posso dal potere che esercitano nel loro feudo, e che difendono con le armi. Ecco la maschera del bravo, predatore nato, famelico nella sua delirante rabbia di ricchezza, bandito comune poiché sprovvisto di mete ideali. Il concetto di separazione tra vita e morte non è praticabile, perché la morte è comunque uno strumento di guadagno.

Ma c'è un'altra storia da raccontare. Una storia dove le maschere possono essere viste come la rappresentazione assurda di un mondo capovolto, dove il bene e il male non riescono a trovare le proprie radici poiché si perdono negli anfratti remoti della realtà. E' la storia di un processo penale mai svoltosi, che vede come imputato il capo di un immenso campo militare, nei pressi della città di Man, trasformato in villaggio di guerriglieri che lo abitano con le loro famiglie, in tutto circa cinquecento, proprio in mezzo alla zona di confidenza. Il boss viene accusato di atroci crimini nei confronti della popolazione civile, come anche dei suoi stessi uomini. Le accuse rivolte dal Pubblico Ministero sono gravi e circostanziate poiché comprovate da una serie di testimonianze dirette raccolte da organismi di cooperazione internazionale.

“Quest'uomo, per circa tre anni, ha organizzato assalti ai villaggi con massacri e stupri. Posti di blocco per rapinare la gente di passaggio, torture e ferimenti di vario genere, dove l'arma più usata è il machete, oltre a reprimere, anche nel sangue se fosse stato necessario, le manifestazioni di protesta della popolazione di Man, contro i suoi soprusi”.

 

Poi, dopo l'accordo tra il Principe ed il Guerriero, lui che era semplicemente un bravo, decise di smobilitare il campo e unirsi ad un altra banda di ex ribelli, costituitasi in una sorta di “cupola”, poiché raccoglieva piccoli gruppi di sparuti bravi, per prendere il controllo totale delle due città: Man e  Duekoue.

“Con gli altri leader venne deciso che ai componenti del villaggio, che non volevano unirsi alla nuova organizzazione, sarebbero stati riconosciuti 500.000 franchi per tornarsene nelle loro città al sud del paese. Un centinaio di uomini non aderirono al nuovo progetto, e i capi affidarono i danari da dividere all'uomo che era il loro capo e che oggi abbiamo qui davanti.  Egli però ne corrispose solo in minima parte, il grosso del quantitativo se lo tenne lui. Gli uomini protestarono fortemente, minacciando di ucciderlo. Egli allora prese tempo. Disse loro che il resto dei soldi sarebbero stati dati nel giro di pochi giorni. Così, si recò notte tempo dai leader della nuova organizzazione e li denunciò, raccontando che quelli in realtà non avevano nessuna intenzione di tornarsene a casa ma stavano per armarsi proprio contro di loro. La notte seguente nel villaggio entrarono diverse centinaia di ex ribelli e massacrarono quei cento uomini, stuprarono le donne e poi le uccisero insieme ai loro figli”.

La cosa che colpisce in questa storia, oltre ovviamente ai crimini, è l'arringa del difensore del bravo, che cercando di sovvertire il sistema dei significati, come fa ogni scaltro avvocato, individua le responsabilità dei crimini del proprio cliente in qualcosa che sta al di sopra della sua umana vita. Ma è davvero un sovvertimento dei significati o ci può essere una logica in tale strategia difensiva...?

 

“Quello che mi si chiede oggi è di difendere un uomo che voi avete già condannato. Si perché i crimini che avrebbe commesso sono così estremi che il giudizio sembra irrimediabile. Però permettetemi  prima di iniziare con un ricordo. Quando il nostro Primo Ministro anni fa strinse la mano al mio cliente e gli disse bravo, so che la nostra causa trionferà perché abbiamo uomini come te... Questo gli disse il nostro Primo Ministro! Ed è proprio per questo che ora vi chiedo di ascoltarmi. Io oggi voglio parlare del nostro mondo, cioè della nostra Africa. Ma voglio anche parlare di un Grande Gioco che ha tenuto il nostro continente schiavo del mondo occidentale. Quel Potere oggi non si manifesta più come una volta, imponendoci le sue leggi, i suoi governatori, i suoi costumi. Oggi è diverso. Oggi è il denaro che conta, perché questa è la nostra società. E' la caratteristica dell'umana specie del nostro mondo, perché non c'è niente, dico niente che possa realizzarsi al di fuori del denaro. Niente di glorioso, gradevole, orgoglioso che si possa realizzare senza il denaro. Forse i governi di tutti paesi africani non sono retti sul piacere del denaro, soprattutto quando fanno affari con gli occidentali per sottrarre le risorse ai cittadini...? Non è forse la forza dello stesso denaro a far si che se si combattono guerre c'è chi ci guadagna...? E ancora, vi chiedo, non è forse il denaro a sventrare interi territori per far posto agli insediamenti industriali occidentali, distruggendo pesca e agricoltura, affamando così il popolo, che su quelle attività ha costruito la propria vita...? Già, il popolo...! Perché  illustrissimi signori della corte, voi oggi rappresentate il popolo, e questo tribunale giudica in nome del popolo...! Ma il popolo può giudicare gli abusi che subisce dal Principe e dai suoi guerrieri...? Perché quali abusi possono essere ascritti al comportamento del mio cliente se non quello di essere un uomo fidato del Principe, su cui il Principe ha puntato per la riscossa della sua stessa causa, perché è questo che è successo al mio cliente. Si dice che ha fatto uccidere per denaro, ma non è la stessa cosa che fa il Principe...?Non è forse la stessa cosa che fanno le compagnie economiche occidentali? Ma allora, signori della corte, perché il mio cliente deve pagare per questo? Si dice che ha torturato, ma in una guerra come questa un soldato, che ha anche delle responsabilità di comando, utilizza quei metodi che gli sono stati insegnati. Si dice che ha stuprato delle donne. Ma nel nostro ordinamento non esiste una legge che vieti di avere rapporti sessuali anche non consensuali. E poi si sa, l’uomo è un dominatore per vocazione, e di questo vogliamo fargliene una colpa? Si dice poi che ha venduto esseri umani, che ha ucciso bambini, si dice persino che avrebbe violentato una infante di tre anni! Ma signori, lo stesso Presidente della repubblica ivoriana ha firmato una ordinanza che garantisce l’amnistia per quei cosiddetti crimini commessi nell’ambito della guerra. Perché una guerra è una guerra! Una guerra è di per se un crimine contro l’umanità, e per questo deve pagare il mio cliente? Ma gentili signori della corte, vi sembra possibile che un uomo che per anni è stato accanto al nostro primo ministro, possa essere portato in un tribunale per essere giudicato...? Un uomo che ha combattuto per un paese di ivoriani deve trovarsi alla sbarra? No, signori della corte, questa è una vera e propria ingiustizia, che voi come rappresentanti del popolo dovete sanare...” 

L’inizio della fine

Désiré teneva Christelle per mano durante l’attesa al gate, scambiandosi a vicenda sguardi di conforto. Anche lei era con un uomo che le aveva fornito un biglietto per Bologna ed un passaporto falso: come prassi se lo sarebbe ripreso una volta atterrati in Italia. Le due ragazze fecero subito amicizia, e nell’attesa di imbarcarsi riuscirono a trovare la voglia di scherzare, prendendosi gioco dei loro accompagnatori. Una volta entrati nell’aereo le ragazze chiesero loro di potersi sedere insieme, per affrontare l’ultimo pezzo del viaggio.

Christelle sembrava un pò più tranquilla grazie all’incontro con quella sconosciuta. Tra una parola e l'altra scambiata con Désiré la sua mente ogni tanto si astraeva. I ricordi tornavano ai genitori e al suo passato. Adesso aveva ben chiaro cos'era successo in quel secondo giorno che le avrebbe cambiato la vita: era il giorno che uccisero suo padre.

Dopo la nomina di Soro a capo del governo, Bouake si trovò a vivere un vero e proprio sconquasso ai vertici del sistema di gestione del territorio. Il Presidente Gbagbo aveva annunciato l'evento, sottolineando che gli ex ribelli dovevano consegnare le armi, per poi entrare nell'esercito regolare. Tra la popolazione del nord affiorava la speranza che quegli anni di violenza e instabilità fossero giunti al termine. I commercianti e gli imprenditori levarono un sospiro di sollievo: finalmente il pizzo ai ribelli non doveva più essere pagato. Ma questa euforia durò poco perché da  quasi subito si capì che le cose anziché migliorare erano destinate a peggiorare. A molti capi clan non veniva riconosciuto un inserimento nell'esercito ad un grado superiore e altri non erano neanche stati pagati. I clan ritornavano sul territorio a saccheggiare la popolazione. Tornarono all'assalto dei commercianti e degli imprenditori per  riscuotere i “sospesi”. Bouake diventava ancora più pericolosa, poiché quel minimo di “regolamentazione del saccheggio” garantita da Soro non esisteva più. I clan erano sempre più affamati e la situazione di anarchia sempre più dilatata.

Hassan Barigalle fu uno dei primi ad essere preso di mira. Gli venne chiesto un enorme quantità di denaro, maggiore rispetto a quella estorta da Soro. I primi mesi decise di pagare, anche per capire se la “normalizzazione” prima o poi sarebbe arrivata. Poi, non riuscì più a pagare. Le somme richieste erano altissime e le imprese cominciarono a subire un collasso finanziario. Egli non era più in grado di pagare, del resto non poteva chiedere  aiuto a nessuno. Il governo nazionale gli aveva consigliato a suo tempo di andare via ma lui e la sua famiglia decisero di restare, era considerato ufficialmente un uomo poco gradito proprio perché, anziché andarsene, aveva contribuito a mantenere i ribelli... E Soro, l'uomo che in quegli anni l'aveva protetto, era paradossalmente diventato capo di quel governo. Hassan era rimasto solo a combattere contro la guerra, purtroppo era diventata la sua guerra: ecco l'ultima maschera, è quella dell'eroe.

Subiva continue minacce, gli ripetevano che l'avrebbero ammazzato, che avrebbero bruciate le imprese, che avrebbero preso sua moglie e sua figlia. Una sera, mentre era a cena con la sua famiglia, disse loro che la situazione stava precipitando. L'idea era quella preparare una via di fuga per le donne verso Abidjan. Lui sarebbe rimasto a Bouake fin quando la situazione non si fosse normalizzata. Bisognava chiudere, per il momento, l'emporio e la boutique di Christell, e lasciare aperto solo il ristorante: poi resistere. Dopo chiamò Konate, vecchio e fedele amico di famiglia, e gli chiese di accompagnare mamma e figlia ad Abidjan, ma erano necessari alcuni giorni per far tutto, soprattutto bisognava organizzare la dialisi per Louise, poiché era ammalata di insufficienza renale. Nel frattempo si era procurato una pistola  che sistemò dentro la cassaforte del ristorante, insieme ai soldi. Gli uomini del clan presto sarebbero tornati e lui voleva che moglie e figlia fossero fuori da Bouake il prima possibile.

Finalmente il giorno era arrivato. Aveva appuntamento con Konate al ristorante. Dopo la chiusura, sarebbero tornati insieme a casa sua. L'amico avrebbe dormito lì quella notte e poi sarebbe ripartito per Abidjan la mattina seguente insieme a Louise e Christelle. Quella sera però i due non si videro perché gli eventi precipitarono all'improvviso. In effetti quella sera Konate ritardò l’incontro, e forse questo gli salvò la vita. Alla chiusura, si presentarono gli uomini del clan. Scesero in cinque da un'auto rubata, armati fino ai denti. Fecero uscire tutto il personale rimasto e restarono soli con Hassan. Intanto gli chiesero tutto l'incasso della giornata, ma solo come acconto. Hassan aprì la cassaforte ma non ebbe neanche il tempo di prendere la pistola perché fu fulminato da una scarica di mitragliatrice. Saccheggiarono il ristorante e poi gli diedero fuoco. Il corpo di Hassan rimase dentro a bruciare insieme a quella che era la parte più prestigiosa del suo piccolo impero commerciale. Quando Konate arrivò vide il locale in fiamme e tanta gente fuori che assisteva impotente a quello spettacolo orribile. Riconobbe un vecchio commensale del Pacha, era con la lacrime agli occhi: “Hassan è morto! L'hanno ammazzato. Devi avvisare Louise, perché la stanno cercando vogliono i soldi! Vogliono i soldi!”. Konate telefonò alla donna dicendole di  andare via  immediatamente da casa e cercare un nascondiglio, e che l'avrebbe raggiunta. Le comunicò in modo concitato che era successo qualcosa a suo marito e che dovevano uscire immediatamente da quella casa. Louise e Christelle misero i bagagli, che già avevano preparato per la mattina seguente, in auto e raccolsero tutti i soldi e le cose di valore che c'erano in casa. Si diressero immediatamente da una vecchia amica della donna, di etnia Dioula, e lì ripararono.

 

Si nascosero per quasi un mese. La situazione stava evolvendo in modo drammatico poiché ad Abidjan non potevano più andare, la linea di confine tra nord e sud era controllata dagli ex ribelli e visto che le due donne erano ricercate, il viaggio sarebbe stato troppo rischioso. L'unica possibilità era il Mali. Più giorni passavano e più il rischio di essere prese aumentava. Quindi si doveva andare subito nel paese confinante. Per  Louise questo voleva dire comunque la morte, perché lì la dialisi non poteva farla. Ma lei doveva pensare a sua figlia, quantomeno a metterla nella condizione di poter avere un'altra vita da vivere. Ecco che la maschera dell'eroina assume significato in nome della genitorialità. Il sacrificio ha in se  una connotazione simbolica che va al di là del gesto stesso perché diventa il senso di una storia. A bordo di un camion guidato da Konate, una notte di inizio estate del 2008, Louise e Christelle partivano per Bamako. Qui restavano un mese giusto il tempo per organizzare la fuga di Christelle per l'Europa. Ma qui finisce anche la storia della Famiglia Barigalle. Una storia che non è come tante altre, ma che come tante altre descrive il mondo come noi non lo vogliamo conoscere...

Un’altra vita da vivere

L'aereo sta per arrivare a Bologna, il viaggio delle due ragazze è quasi finito. Le loro vite, appese ad un destino che le ha tradite, avranno per molto tempo solo un presente e non un futuro. Dovranno vivere giorno per giorno e sperare che tutto vada bene. Appena scendono dalla scaletta dell'aereo Christelle e Désiré si tengono sempre per mano e cercano di confortarsi l'una con l'altra. Raggiunti i bagagli i due  accompagnatori recuperano i passaporti e consigliano loro di andare alla stazione dove c'è un posto di polizia, le salutano e vanno via. Le due ragazze si fanno forza, si avvicinano al bar per comprare dell'acqua. Mentre sono in fila alla cassa, alle loro spalle ci sono due uomini in giacca e cravatta, che sembrano tornare  da un viaggio d'affari. Discutono amabilmente degli ultimi sbarchi a Lampedusa. Ma le ragazze non possono capirli, perché ancora non parlano l'italiano.

“Ma perché non se ne stanno a casa loro questi. Ma cosa credono di trovare qui... Non c'è lavoro neanche per gli italiani, e vengono da noi...”

“Secondo me anziché farli venire qui, gli Stati dovrebbero fare in modo che il lavoro lo trovino a casa loro... Noi staremmo meglio e loro sarebbero più contenti di restare nel loro paese...”

Photo credits PeaceReporter