Morire per essere un giorno liberi

21 settembre 2015

By Marco Marano

Dal 2011 ad oggi sembra siano 200.000 le vittime della guera civile in Siria. Ma questa è una cifra fantasma poichè ormai nessuno è più in condizione di fare un conteggio. Allo stato attuale il conflitto nel paese è l'insieme di più conflitti in uno, poichè il territorio nazionale è suddiviso in aree territoriali frammentate, controllate da eserciti diversi. L'Isis è nel nord est, e combatte principalmente con la resistenza kurda, dove Kobane diventa il territorio da espugnare vicendevolmente.

L'esercito governativo di Bashar Assad ha la sua roccaforte a Damasco e in alcune zone dell'est, mentre l'Esercito Libero Siriano, combatte permanentemente contro i governativi su Aleppo, e su altre zone a macchia di leopardo nel paese. Quest'ultimo è suddiviso in più brigate che sembrano essere scollegate le une dalle altre. E in questo caos di città deserte e distrutte, dove non c'è più niente e dove devi camminare con l'elmetto, si aggiungono bande spontaneee: alcune sembra qaediste altre senza matrice.

E' praticamente una nazione dove chi non decide di scappare deve convivere permanentemente con la morte. Se un amico non si riesce a trovare per due giorni vuol dire che è stato colpito da qualche bomba o da qualche pallottola. Aleppo in questo è davvero rappresentativa delle dinamiche di una vita quotidiana che è solo funzionale ad uccidere o a resistere alla morte.

Eppure era nato tutto da una protesta nel 2011, sulla scia delle primavere arabe, contro il potere feudale della famiglia Assad. Anzi a dire il vero anche prima, già dal 2006 era stato creato un giornale online dal titolo "Syria News", finalizzato a denunciare la corruzione nel paese, e dove alcuni blogger avevano costruito uno stutturato sistema di relazione con alcuni dissidenti espatriati. Attraverso il web, questo gruppo di "attivisti informatici" aveva persino avviato una campagna mediante il semplicissimo strumento delle e-mail, per insegnare, a chi si proponeva di diffondere informazioni contro il regime, come evitare la censura usando i proxy.

Poi dal 2010 si andò a sviluppare in rete un vero e proprio movimento che coinvolse cristiani e musulmani insieme, i quali si ritrovarono nella pagina di facebook "Syrian Revolution 2011", luogo di incontro, ma anche di elaborazione politica, della protesta: in quell'anno si contarrono 120 mila fan.

Dopo, con il passaggio di gruppi di militari regolari alle forze di resistenza, prese avvio la guerra civile, che attirò l'attenzione dell'occidente fino al periodo della linea rossa oltrepassata, quella cioè dell'utilizzo delle armi chimiche. Poi l'oblio. L'interesse sulla Siria del Nord del mondo, mediatico e politico, si attenuò, spostandosi sull'arrivo dei migranti approdati in Sicilia. Ma ancora non era esploso il fenomeno con le caratteristiche dell'esodo di massa che ha adesso.

Man mano che il problema inizia a coinvolgere l'area balcanica, e la diaspora siriana diventa sempre più ineluttabile, trasformandosi in sintesi o forse in chiave di lettura di situazioni simili in Irak o in Afganistan, le immagini delle città siriane distrutte, da quel momento, circolano solo sul web. Nel frattempo la Siria è diventata terreno di caccia politico della Russia, che sostiene il carnefice Assad, mentre il dittatore bianco ungherese Orban individua il male, con le conseguenti azioni e leggi violente, proprio nei rifugiati siriani, e alcuni paesi europei decidono che forse per evitare le fughe di massa da quel paese si potrebbe bombardare l'Isis.

Intanto chi è rimasto o decide di combattere nella resistenza o spera di non morire o di rivedere i propri cari il giorno dopo. In ambe due vi è l'esigenza di urlare al mondo che restando sono disposti a morire per essere un giorno liberi...

 

CREDIT NINO FEZZA