SAN BERILLO,

UNA STORIA MEDITERRANEA

 

Da tradizionale ghetto della prostituzione

a modello auto-organizzato

d'inclusione sociale

5 gennaio 2015

By Marco Marano

Storie di casa nostra

 

La storia di San Berillo, uno dei quartieri più antichi di Catania, raccoglie in qualche modo tutti gli elementi delle storie di saccheggio e depravazione politica che hanno caratterizzato, attraverso le speculazioni edilizie, il sistematico sventramento dei territori urbani italiani dal dopoguerra ad oggi. Se una data plausibile da cui fare partire questa storia è il 1949, quando l'allora amministrazione comunale nominava la commissione di aggiornamento al piano regolatore, dove si sarebbe incubatala la speculazione di San Berillo, è anche vero che una data di chiusura non c'è, per il semplice fatto che questa storia è ancora aperta... Il 1950 fu l'anno in cui il Consiglio comunale di Catania approvò, la demolizione e la ricostruzione di questo pezzo della città posizionata tra la stazione, il centro ed il mare. Il progetto veniva affidato ad una società creata ad hoc, legata alla Società Generale Immobiliare di proprietà del Vaticano: l'Istica, presieduta dal deputato democistiano Claudio Maiorana. Il progetto veniva poi inserito nel piano regolatore del commissario prefittizio. Una cascata di miliardi di lire erogati dallo Stato e dalla Regione per demolire un'area di 240.000 m2 e ricostruire 1.800.000 m3. A ciò si aggiungeva il business legato agli edifici costruiti per le 30.000 persone deportate in un altra parte della città, nel quartiere di San Leone, che diventerà per proprietà transitiva, San Berillo Nuovo. Mai si era visto e mai si potrà vedere una vera e propria deportazione da un territorio ad un altro dentro una città, sradicando vite e tradizioni a cui erano legate le decine e decine di botteghe, che costituivano l'anima del territorio. C'erano i maestri liutai che convivevano con i maestri pupari, c'erano piccoli mobilifici che le famiglie del quartiere si erano tramandate: era un polmone economico e produttivo della città. I lavori iniziarono nel 1957, l'area venne rasa al suolo, e in seguito in parte ricostruita. Solo un uomo, l'ingegnere Giuseppe Mignemi, capo di una commissione di collaudo, denunciò negli anni sessanta il saccheggio che era stato compiuto ai danni della collettività, portando alla luce una delle più grandi speculazioni edilizie della storia europea. Nel frattempo San Berillo, dall'entrata in vigore della legge Merlin, quando le case chiuse si chiusero alla legalità, diventò poco più che un ghetto, con una decina di strade ed una piazzetta.

L'unico processo penale avviato portò prima alla condanna e poi all'assoluzione il Sindaco dell'epoca La Ferlita, uno dei grandi capri espiatori di questa storia: l'accusa imputava la distrazione di due miliardi e passa di lire in favore dell'Istica. Si perché il vero manovratore di tutta la vicenda fu l'eminenza grigia della politica catanese, il vero e unico imperatore della città: Nino Drago, proconsole di Andreotti nella Sicilia orientale, il quale era riuscito, qualche anno prima, a far arrestare Mignemi per calunnia nei suoi confronti. La vera denuncia dell'ingegnere era proprio contro Drago, che considerava una vera e propria mente criminale. Ma essendo rimasta una opera urbanisticamente incompiuta, essa non poteva che produrre ghettizzazione sociale. E così fu... San Berillo venne da allora consacrato come il quartiere “clandestino” a luci rosse di Catania, dato che la sua anima storica, quella delle botteghe artigiane gli era stata strappata per sempre. Oggi il segno più evidente di questo sventramento, ossidatosi in sessant'anni, è lo squarcio che c'è nell'arteria centrale che dalla stazione si prolunga verso il centro, cioè Corso dei Martiri, con quei 160.000 m2 di pietra lavica, che hanno tutto l'aspetto di vere e proprie catacombe...

Un modello di drammaturgia sociale


 

In questa storia ci stanno tutti i "segni distintivi" tipici di un modello di drammaturgia sociale del nostro tempo, che diventa in qualche modo modello simbolico, utile per interpretare la realtà. C'è il Potere, in quanto regolatore della dimensione pubblica che perde la sua funzione originaria, per trasformarsi in salvaguardia degli interessi privati. Ma non è soltanto questo. San Berillo è anche il primo grande evento di criminalità politico-territoriale, che come in un laboratorio ha fatto da sintesi a due diverse modalità di organizzazione sociale: quella massonica e quella mafiosa. La prima costituì le ragioni attraverso cui il sistema di "appartenenze" al rito scozzese fece da viatico, nel 1943, alla formazione, per opera degli alleati anglosassoni, di una nuova classe dirigente etnea. La seconda, definì le modalità sub-culturali del gruppo di potere insediatosi nella Democrazia Cristiana agli inizi degli anni cinquanta, conosciuto da tutti con la denominazione di "Giovani Turchi", di cui Nino Drago fu il capo indiscusso...

Il primo a spiegare il sistema di interessi fondiari catanesi attraverso la lente massomafiosa, fu il professore Giuseppe D'Urso, urbanista dell'Università di Catania e uno dei fondatori della Rete di Leoluca Orlando, figlio del vicesindaco di quella amministrazione del '49 da cui partì tutta la vicenda... Ma a che serve ancora raccontare questa storia? Forse perché questa storia racconta il motivo per cui oggi l'Italia può essere considerato un paese fallito. Un paese che grazie all'opera di oligarchie funzionali al sistema stesso, hanno fatto man bassa del territorio, non negli ultimi vent'anni, ma negli ultimi sessanta... Forse perché quello che succede oggi non è soltanto causa di una crisi economica, ma che questa ha semplicemente aperto un vaso di pandora... Oppure perché è giusto ricordare, a chi in Italia ha fatto finta di non accorgersi, durante le ultime tre generazioni, che le vicende miserande del meridione sono sempre dovute restare tali, per far arricchire un pugno di “famelici avvoltoi”, dentro e fuori l'apparato dello Stato. Ma anche perché oggi San Berillo può diventare un segno distintivo di qualcos'altro, di una parola che in Sicilia non è molto conosciuta: riscossa... Ma qui un'altra maschera fuoriesce, questa volta diversa dal passato, è la maschera della consapevolezza, identificabile in un gruppo di cittadini i quali hanno deciso che è arrivato il momento di fare a soli. Hanno costituito un Comitato nel segno della cittadinanza attiva: “La nostra mission – osserva Roberto, membro del Comitato - è quella di includere e non escludere, attraverso progetti di cittadinanza attiva: che siano prostitute, che siano senegalesi che siano cittadini singoli o associazioni... Noi siamo una ventina di persone che abitano e che attivamente lavorano nel quartiere, siamo consulenti, professionisti, ingegneri, ecc... E con le istituzioni vogliamo mettere a disposizione le nostre competenze per migliorare il luogo in cui viviamo.”

Quando c'era il regno

 

Negli anni novanta, dai frequentatori del luogo, San Berillo venne soprannominato "Il regno", a voler sottolineare le sue caratteristiche di entità autonoma dal resto della città, una sorta di porto franco dalla morale collettiva. Un posto davvero sui generis, dove sporcizia, degrado, sfruttamento, violenza, convivevano tutte le notti, quando le porte si aprivano e centinaia di uomini si aggiravano nel buio tra quei vicoli stretti e decadenti... Poi nel 2000 una retata in stile film americano mise fine al regno... Il quartiere bordello si svuotò ma alcune donne e qualche travestito, soprattutto chi aveva case di proprietà, rimase a praticare la sua professione... Franchina è uno di questi, ha da poco preso parte alla pellicola di Maria Arena “Gesù è morto per i peccati degli altri”, film che ha partecipato al Festival dei Popoli di Firenze. Ma Franchina è anche uno scrittore. "Davanti alla porta" è il titolo del libro sulla sua vita nel quartiere: "Molte delle case che negli anni sono rimaste chiuse, - ci racconta Franchina - sono state poi occupate da altri per lavorarci... Il paradosso è che i proprietari sono irrintracciabili, per cui non è possibile fare nessun intervento edilizio..." Cioè in poche parole, non è possibile risanare gli edifici perché i possessori delle case non possono essere rintracciati. Certo, in tal senso non si capisce se questo sia un bene o un male, visto che dopo sessant'anni c'è chi vorrebbe radere ancora tutto al suolo. Esistono interessi fondiari che dagli anni cinquanta si sono proiettati ai giorni nostri, con i nuovi proprietari entrati in campo dopo il fallimento dell'Istica. Ed è questo coacervo di interessi contro cui devono combattere i cittadini del comitato, interessi che vedono famiglie vecchie e nuove, legate agli establishment di destra e di sinistra, fare affari.

C'era una frase che il Prof D'Urso usava citare per descrivere la borghesia catanese: “Catania, città di bancarellari con le sue feste private e pubbliche, dove ognuno espone la propria mercanzia pronto allo scambio. Il guaio è che gli espositori sono politici, imprenditori, operatori economici, alti prelati e ovviamente il grande editore Ciancio...” Ora, in una terra di mafia, se si vuole distruggere socialmente qualcuno o qualcosa prima di tutto lo si delegittima. Il quotidiano La Sicilia, negli anni dell'impero di Drago, aveva proprio la funzione di sistematica legittimazione del sistema e delegittimazione delle richieste sociali contrarie agli interessi del sistema. Questa prassi fu utilissima nella gestione di tutte le questioni, compresi gli scandali, legate al piano regolatore, che non sarà mai applicato, proprio per lasciare mano libera alle speculazioni. La funzione svolta dall'informazione dell'editore Ciancio, uomo dagli straordinari interessi fondiari, è sempre stata direttamente proporzionale alla diffusione della cultura mafiosa e, laddove ce ne fosse stato bisogno, alla delegittimazione di questo o quel nemico. In tanti ricorderanno come il giornale La Sicilia dopo l'omicidio mafioso del giornalista Pippo Fava, di cui proprio oggi cade il trentunesimo anniversario della morte, cercò all'inizio di far rientrare la cosa in “storie di corna”, con una modalità mistificatoria disgustosa.

Nella situazione che stiamo raccontando però ad essere colpito non è il singolo cittadino o la singola organizzazione ma addirittura un intero quartiere. La denuncia è stata lanciata dal settimanale l'Espresso, attraverso un'intervista al regista Edoardo Morabito, autore del primo film grato nel 2013: “I fantasmi di San Berillo”, e quello che dice sembra davvero qualcosa di surreale. In breve, un'associazione denominata Panvision, organizza giri turistici in quello che fu il puttanaio a cielo aperto più grande d'Europa. Ingaggia all'occorrenza prostitute o travestiti come guide turistiche, con la motivazione formale di reinserire le persone nel mondo del lavoro. Quando arrivano tante adesioni al punto da formare un gruppo, al prezzo di 10 euro con l'iscrizione all'associazione, parte il giro chiamato “Catania segreta tour”, alla scoperta della desolazione urbana, per ammirare le case decrepite che non possono essere demolite... C'è qualcosa di totemico in tutto questo, come una sorta di santificazione del degrado che fa parte delle bellezze di una città mafiosa... Il regista Morabito, definisce questa iniziativa turistica una operazione da “zoo piccolo borghese”. Può darsi che sia anche così, ma uno zoo sociale si connota per definizione in quanto ghetto, perché ghetto deve restare, soprattutto se si vuole demolire per ricostruire...

E' la storia di San Berillo insomma... Ma questa volta la resistenza culturale assume forma nell'azione dei cittadini, che vogliono far rinascere il loro luogo in quanto territorio e non ghetto, perché quel territorio è vivo malgrado ci siano puttane e senegalesi, anzi forse proprio per questo può essere definito l'unico luogo letterario della città, da cui ripensare la città...

La resistenza attiva dei cittadini

 

Qui – osserva Roberto – dentro il quartiere non c'è presenza mafiosa, per cui il rapporto con la città è unicamente dimensionato rispetto all'esercizio della prostituzione. Esercitare la prostituzione in Italia non è un reato, però è chiaramente contraria alla morale comune, forse per questo l'amministrazione ci ascolta ma allo stesso tempo è come se ci tenesse a distanza...” Una bella sfida per questi cittadini, riuscire cioè a riqualificare il loro quartiere che porta lo stigma di un luogo per rifiuti della società. Se si aggiunge poi che questa è la motivazione non esplicitata della borghesia mafiosa per demolire quel che rimane, e completare, dopo sessant'anni, il saccheggio, il quadro è completo. Il progetto da cui il comitato è partito si chiama “mappe urbane”, realizzato in collaborazione con l'Università di Catania, attraverso cui alcuni ricercatori hanno somministrato interviste e indagato sulla storia del quartiere, per ricostruire una identità che lo sventramento ha estirpato. “Stiamo lavorando – prosegue Roberto - con dei sociologi urbani della facoltà di Scienze Politiche per individuare proposte di riqualificazione urbana che partano dalle vocazioni del territorio, per svilupparne le potenzialità.” Si avverte come una necessità impellente, camminando per i vicoli di San Berillo, quella cioè di riappropriarsi del passato, di un passato che la città ha dimenticato e non è interessata a ricordare. Un passato rubato che impedisce l'affermazione dei diritti di cittadinanza nei confronti delle puttane e dei travestiti. Ma anche dei senegalesi, che negli ultimi anni hanno costituito una sorta di società chiusa a San Berillo, che si differenzia dalle altre società chiuse di tipo etnico presenti in tutte le città del mondo, perché in questo caso non vi è una volontà a slegarsi dal resto del territorio, ma una necessità, semplicemente perché a San Berillo riescono a trovare un tetto sulla testa a costi per loro sostenibili, che tradotto vuol dire in condizioni inumane... “Noi vogliamo – incalza Roberto - far rinascere questo quartiere in positivo e ci adoperiamo ognuno con le nostre competenze: questa è cittadinanza attiva... Si parla da anni di fare un distretto dell'artigianato, ma non si è mai fatto niente, come sempre a Catania...” Beh, pensare di fare un distretto dell'artigianato, sarebbe una cosa estremamente virtuosa per una città dove deve essere mantenuto lo status quo. Sarebbe un riappropriarsi del proprio passato, delle proprie origini, della propria identità. Probabilmente creare un distretto dell'artigianato a San Berillo sarebbe l'atto antimafioso più straordinario che la città possa fare: forse per questo non si farà mai...

La città coperta

 

C'era un'altra descrizione del sistema massomafioso catanese cara al Professor D'Urso, che forse spiega meglio la funzione della borghesia: “Catania e i suoi governi, i suoi affari sommersi, i legami parentali e occulti che si sono tramandati di generazione in generazione e che hanno costituito un reticolo intrinsecamente legato al territorio. Una città rigidamente coperta dagli interessi dei ceti salottieri riuniti in logge, che hanno tessuto le loro attività trasformando l'illegalità in ordine costituito.” Il concetto di città coperta è quindi a fondamento della filosofia massomafiosa, dove i legami parentali e le alleanze trasversali diventano un tutt'uno. Ci sono alcune figure politiche, nei sessant'anni di vicende legate a San Berillo, che in qualche modo rientrano appieno in questa descrizione. Sappiamo essere centrale la figura di Nino Drago, che è stata raccontata in spettacoli teatrali come la “Ballata per San Berillo” di Turi Zinna ed Elio Gimbo, dove vengono teatralizzate le caratteristiche cinicamente criminogene di questa specie di Scarface della politica, che ha tenuto sotto scacco una città per quarant'anni.

Ma ci sono alcuni personaggi interessanti da raccontare, che davvero sono maschere di un potere oligarchico di tipo mediterraneo i cui caratteri sono quelli dell'oggi. Nessuno ha mai parlato, ad esempio, delle maschere del Potere che tra il '49 e il '53, utilizzarono l'affare di San Berillo come viatico per costruire rendite di posizione personali, istituzionalizzate dalla Democrazia Cristiana. Forse in pochi ricordano che la vera mente strategica dello sventramento di San Berillo fu il maestro di Nino Drago, colui il quale gli fece da sponsor: Domenico Magrì. Era un uomo vicino alla famiglia Segni che iniziò la sua scalata al potere nel '46, come assessore della giunta Pittari. Ma fu nella giunta successiva che diventò burattinaio, cioè durante la sindacatura di Giovanni Perni. Perché la nomina della nuova commissione di aggiornamento del piano regolatore fu realizzata proprio per produrre le condizioni giuridiche affinché l'operazione potesse essere realizzata. La Democrazia Cristiana dell'epoca era ancora prevalentemente legata ai notabili dell'azione cattolica antifascista, molti dei quali massoni, della corrente sturziana. Una esigua minoranza di questi chiese a gran voce che l'operazione venisse condotta da un ente pubblico, cioè l'Istituto Autonomo Case Popolari, ma la gran parte del partito era tutta schierata con Magrì, che già aveva preso accordi con il Vaticano. Magrì si adoperò per far nascere un altro ente apposito che prendesse l'appalto: l'Istica. A Perni seguì l'anno dopo l'amministrazione Gallo Poggi, un indipendentista alla cui famiglia viene fatto risalire l'incendio del Municipio di Catania nel '44, sotto forma di sommossa popolare, come ritorsione per non essere entrata dentro il nascituro sistema di potere locale. E qui che si ha il voto del Consiglio comunale per far partire l'operazione e che vede pure il sostegno del partito comunista... Di questa storia andammo a parlare nel '91 con Franco Pezzino, uno degli esponenti storici del Pci catanese, ma lui sottolineò con insistenza di non ricordarsi affatto di quel voto... Nel '52 Magrì diventa Sindaco, ma è semplicemente il trampolino che lo porterà poi in parlamento, guadagnandosi grazie a San Berillo i galloni sul campo. Infatti alla fine del '53 Magrì esce di scena e lascia la sindacatura ad un altro vecchio sturziano, Luigi La Ferlita, che la terrà per sette anni, giusto il tempo di far partire i lavori di sventramento e restare impigliato nella fittissima rete di corruzione creata da Drago, dopo la fase celebrata dalla pubblicistica come “la compravendita delle tessere”. Come ormai scritto nei libri di storia, da quel momento Drago diventa il padrone assoluto della DC e quindi della città, grazie a quei giovani imprenditori che anni dopo saranno denominati da Pippo Fava, i cavalieri dell'apocalisse mafiosa...

Il mondo davanti
 

Il nostro è un modello – conclude Roberto – di socialità solidale. La settimana scorsa gli abitanti di uno di questi vicoli hanno voluto organizzare un pranzo per tutti i residenti del quartiere, con una tavolata lungo la strada, e oggi gli abitanti di un'altra strada ricambiano il favore...” Il punto è che una cultura tendente alla socialità solidale è un bisogno sempre più impellente dei tessuti urbani di tutte le città italiane, ne è una prova il laboratorio bolognese delle “social street”, che nel giro di un anno e mezzo ha diffuso, attraverso facebook, un nuovo modello di cittadinanza attiva in tutto il mondo, studiato anche da alcune università italiane.  Si tratta di un  prototipo di socialità sostenibile, che fa da legame alle differenze culturali, etniche, ed economiche presenti in un territorio, per una migliore qualità della vita, partendo dalla strada in cui si abita. Una strada dove i cittadini stessi si aiutano vicendevolmente sui bisogni quotidiani, ma dove partecipano attivamente, decidendo di fare insieme delle cose che riguardano tutti, di cui tutti ne possano beneficiare. In buona sostanza è questo il lavoro del Comitato dei cittadini attivi di San Berillo, in linea con le poche innovazioni dal basso che si stanno sviluppando in Italia.

Ma a ben guardare il mondo davanti a San Berillo avrebbe bisogno di tanti comitati di cittadini che utilizzassero lo stesso modello di cittadinanza attiva e di inclusione sociale. Perché la Catania di oggi è una città ormai socialmente decomposta, dove la cultura mafiosa ha prevalso sulle dinamiche collettive in modo inarrestabile. Dove il livello di aggressività e inciviltà tra le persone hanno superato il punto di non ritorno. Dove il continuo bisogno di sopraffazione ha trasformato il sistema di relazione tra le persone, nel vissuto quotidiano della città... Ci sono alcuni momenti, come scatti fotografici, che possono essere utilizzati per raccontare una città così... La spiaggia libera della playa, ad esempio, in pieno agosto ricoperta di immondizia, e la gente sdraiata accanto che prende il sole... La donna seduta in una panchina che in seguito ad un colpo di vento viene uccisa da una palma cadutale addosso violentemente, perché a quell'albero non era stata fatta manutenzione... L'assalto mafioso dei “paninari” sul lungomare contro coloro che protestano per l'invadenza di questi carrozzoni abusivi, che sporcano ed evadono le tasse... Le bande dei ragazzini che in centro assaltano altri ragazzini, in una sorta di mimesi da favela... Il parco pubblico dove viene proposto un evento teatrale innovativo per la città, desolante e desolato, persino senza luce elettrica e senza nessun tipo di manutenzione e controllo, tanto che gli spettatori sembrano dover assistere ad un rito satanico. L'accoglienza dei migranti dell'operazione Mare Nostrum, presso il palazzetto dello sport, più simile all'organizzazione di un campo di concentramento che di una emergenza socio-sanitaria... La gestione del Cara di Mineo, entrata nell'inchiesta “Mafia Capitale”, il cui snodo degli interessi era la presidenza della provincia, e in cui sembra che il tesoriere del partito democratico sia anche revisore dei conti delle cooperative che gestiscono la struttura.

In un disastro come questo è impossibile non citare un'altra maschera, quella del sindaco democratico Enzo Bianco. Se dovessimo coniare un titolo da prima pagina per descriverlo potremmo dire: "Cerca l'inquadratura giusta ma non si accorge che il territorio è già sprofondato". Un uomo che è l'ombra di se stesso, nel ricordo degli anni novanta, quando si parlava della sua primavera... Quando la sua amministrazione stimolò sicuramente un certo risveglio culturale della città, senza però mai toccare gli interessi fondiari, che dopo la fase dei cavalieri dell'apocalisse, videro la centralità della coppia imprenditoriale Ciancio-Virlinzi. Ovviamente anche nella stagione della primavera il piano regolatore non venne realizzato... Poi entrò nel grande gioco nazionale ma ne uscì quasi subito per inconsistenza politica, stessa sorte toccata a Rutelli. C'è un fatto strano da annotare, e cioè che quando Bianco diventò Ministro dell'Interno, il suo capoufficio stampa fu proprio un giornalista di Ciancio... Questo spiega i caratteri dell'ultima maschera di questa storia: l'Editore... Un uomo ricchissimo e potentissimo, che entra nel gioco politico, diventato per transitività massonica gioco degli affari, come fosse il padrone, anche quando trattasi di primavere... C'è da dire che una volta ritornato a fare il primo cittadino di Catania, Bianco ha ereditato una città completamente saccheggiata dagli ultimi due sindaci. La giunta che costituisce però è senza forza propulsiva, senza innovazione, senza una idea su come leggere i problemi della città... Quest'uomo sembra sia rimasto vittima della sua immagine e forse del suo passato... La ricerca spasmodica delle telecamere in tutte le sue uscite pubbliche sembra proprio patologica...

Ma il mondo davanti a San Berillo è anche rappresentato da un edificio che si erge a poche centinaia di metri dal quartiere, e che fa uscire fuori un'altra città, quella del rispetto e della tolleranza nei confronti degli altri credi religiosi: la moschea. La sua inaugurazione è di due anni fa, ma la cosa che più colpisce è che si è potuta realizzare anche grazie ad una colletta a cui tutti i cittadini del quartiere hanno partecipato, soprattutto i meno abbienti: “perché questa gente diversa da noi deve avere un luogo dove pregare il suo dio...”

photo credits Marco Marano

 

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