Il Presidente vince in Turchia le elezioni del terrore

Il partito di Erdogan guadagna la maggioranza assoluta in parlamento, tra strategia del terrore, repressione della libertà di stampa, censura dell'opposizione, gas lacrimogeni e misteri sullo svolgimento elettorale: un nuovo dittatore è pronto ad entrare nell'Unione Europea.

 

2 novembre 2015

By Marco Marano

 

"Grazie a Dio, oggi è il giorno della vittoria della nostra nazione". Con queste parole Ahmet Davutoglu premier del governo turco ha salutato la vittoria del partito che governa dal 2002, attraverso cui il presidente Recep Tayyip Erdogan è stato conclamato sultano del paese. Con un'affluenza dell'87,4 per cento, l'Akp (Partito islamico moderato Giustizia e sviluppo) ha guadagnato il 49,4% dei voti e 316 seggi, aggiungendo dalle elezioni di giugno, che non avevano dato una situazione di governabilità chiara, quasi 3 milioni e mezzo di voti, superando la quota di 23 milioni, record dal 2011. Al secondo posto si è piazzato il partito socialdemocratico Chp, con il 25 per cento e due seggi guadagnati rispetto a giugno: 134 in tutto. In terza posizione c'è il partito filo-curdo Hdp (Partito dei popoli democratici) con il 10,4 per cento, perdendo 3 punti percentuali e un milione di voti, raggiungendo i 59 seggi. Infine c'è il partito nazionalista Mhp, che ha smarrito quasi due milioni di voti e la metà dei suoi seggi, attestandosi a 41. L'unico rammarico per il sultano è che non riuscendo ad arrivare a 330 seggi non è in grado di cambiare la Costituzione in senso presidenziale, anche per mettersi al riparo dagli scandali di corruzione, che lo vedono sotto i riflettori della magistratura, sia lui che la sua famiglia.

Delle 81 provincie turche sembra non si siano salvate neanche quelle tradizionalmente laiche come Smirne, dove l'AKP ha recuperato 8 deputati in più. L'unica area che ha resistito all'assalto del partito-stato è il sud-est, dove risiedono i curdi, i quali hanno permesso all' Hdp di superare la soglia di sbarramento del 10 per cento. Un successo comunque dato che gli è stato impedito di condurre una campagna elettorale in senso democratico.

La strategia del terrore, che tanti osservatori gli hanno attribuito dopo il voto di giugno, ha dunque sortito gli effetti sperati, mentre la collera curda esplodeva ancora prima delle velocissime procedure di sfoglio. A Diyarbakir sono stati appiccati incendi, tra barricate, scontri con la polizia, gas lacrimogeni e una decisa repressione. E questo potrebbe essere solo l'inizio di una sorta di guerra civile da svilupparsi nelle città più grandi come Istanbul ed Ankara, considerato che dal giugno di quest'anno tra le file curde ci sono stati almeno duecento morti a causa della guerriglia sulle strade del sud-est.

Due misteri hanno contraddistinto poi queste elezioni. Il primo riguarda la decisione del sultano di non adeguare la Turchia al ripristino dell'ora solare, come in tutti i paesi europei, rimandandola all'8 novembre, con la motivazione che l'assenza di luce nel pomeriggio di domenica avrebbe potuto indurre molti cittadini a non andare a votare. Una situazione un pò grottesca, visto che gli strumenti informatici come tablet o computer venivano adeguati elettronicamente, e questo ha creato caos nelle dinamiche sociali del paese. E poi c'è la velocità straordinaria con cui è stato condotto o sfoglio delle schede, i cui risultati certi sono arrivati in meno di due ore, tanto da far parlare alcune forze dell'opposizione di inesattezza tra i conteggi di molti singoli seggi e la gestione conteggi finali...

 

I tema del terrore: tra jihad e questione curda

La Turchia è lo snodo delle autostrade della jihad, percorse dai cittadini europei che vogliono affiliarsi all'Isis, per andare a combattere sul territorio siriano: i cosiddetti "foreign fighters". Adana, in Turchia, a 200 chilometri dal confine con la Siria è proprio il luogo in cui si concentrano quei cittadini europei che decidono di andare a combattere per la jihad. Sono soprattutto giovanissime ragazze, come la piacentina residente in Francia, scoperta ed espulsa qualche settimana fa. Attraverso il web le si mettono in condizione di organizzare il viaggio verso la Turchia, dove ad accoglierle c'è una base logistica, con cittadini turchi che gestiscono il periodo di attesa, affittando appartamenti e monitorando i collegamenti con la Siria.

La guerra all'Isis viene usata da Erdogan per assimilare nel mucchio del terrorismo anche le istanze di libertà e indipendenza del popolo curdo, sia in Siria, la cui resistenza combatte direttamente contro lo Stato islamico, che in Turchia contro il PKK, con cui da quest'estate ha ripreso un vero e proprio scontro armato. Quello che succede nel cantone di Kobane in Rojava, nel Kurdistan occidentale, che copre il territorio della Siria settentrionale, è, ad esempio, qualcosa di straordinario, nel contesto delle vicende che si sviluppano in Turchia. L'Assemblea delle donne di Kobane, che ricordiamo sono le principali protagoniste della resistenza militare sul territorio contro l'Isis, ha elaborato delle disposizioni di legge per il Cantone. Vengono vietati i matrimoni precoci delle bambine, e viene vietata anche la poligamia. Queste disposizioni verranno condivise sul territorio sia attraverso forme di educazione sociale che diffuse nelle assemblee di quartiere. L'intento è proprio quello di costruire una società democratica basata sulle leggi delle donne. E' questo il popolo definito terrorista dalla strategia del terrore di Erdogan.

Ma il maggior paradosso della questione curda in Turchia arriva proprio con la strage di Ankara, costata la vita a più di cento persone, perpetrata, sembra dall'Isis, proprio contro il popolo curdo, perché la manifestazione dove sono morte quelle persone, per lo più giovani, chiedeva di trovare soluzioni pacifiche proprio a favore del popolo curdo. Ecco che Erdogan ribalta il senso della realtà, lanciando al paese la sindrome della paura e dell'instabilità, usata sapientemente nel pieno della campagna elettorale.

 

II tema del terrore: i media di opposizione sono terroristi

Praticamente, a pochi giorni dalle elezioni, il presidente sultano ha sottoposto in amministrazione controllata una holding, Koza Ipek, che controlla un gruppo editoriale, composto sia da giornali che da emittenti televisive, critici nei confronti dell'AKP. Tra questi vi sono alcune testate, direttamente accusate di foraggiare le proteste di piazza, connotate in termini di "promozione del terrore"... Ma la principale accusa è mossa soprattutto rispetto all'ipotetico sostegno nei confronti di Fethullah Gülen, un predicatore islamico, residente negli Stati Uniti, prima sostenitore dello stesso Erdogan poi oppositore, e ovviamente per questo diventato leader di una organizzazione terroristica.

All'interno del gruppo editoriale Ipek, con sede a Istanbul, gravitano, appunto, varie testate: i quotidiani Bugun e Millet e i canali Kanalturk e Bugun Tv. In quest'ultima, mentre il giornalista leggeva in diretta le notizie della mattina, annunciava anche che da un momento all'altro le trasmissioni potevano essere interrotte dal governo, e così è stato. Nel frattempo, nella strada adiacente 500 dimostranti, tra giornalisti ed esponenti politici dell'opposizione, si radunavano per protestare contro un atto espressamente dai toni fascisti ed antidemocratici. La polizia, presentatasi in tenuta antisommossa, per tutta risposta utilizzava gas lacrimogeni e getti d'acqua per disperdere la folla, mettendo in stato di fermo alcuni giornalisti.

In realtà la scadenza elettorale dell'1 novembre è stata la vera questione sul tappeto, che il sultano a voluto vincere a tutti i costi, per cambiare la Costituzione, al fine di restare ancora al potere. Si pensi che negli ultimi 25 giorni il 90 per cento delle trasmissioni della Tv pubblica TRT, sono state a lui dedicate, in spregio alla logica pluralista di una democrazia.

Uno dei leader curdi, Demitras, intervistato dai networks internazionali, ha così dichiarato:"In un modo o nell'altro per un lungo periodo di tempo siamo stati oggetto di una moltitudine di pratiche illegali e incostituzionali, che non trovano fondamento in alcuna legge nazionale o internazionale. In tal senso, dunque, il raid non ci sorprende, tuttavia è un atto inaccettabile".

 

Il patto per l'Unione Europea

Che la fuga di massa dalla guerra siriana sia diventata un peso imbarazzante per la Commissione Europea, è ormai un fatto assodato, per cui l'attivazione dell'accordo raggiunto dalla Merkel per coinvolgere la Turchia, sulla creazione di una zona cuscinetto nel nord del paese, finalizzata a non far passare i rifugiati in Europa, è l'asso nella manica di una Europa che lentamente si sta disintegrando. In tal senso non possiamo esimerci dal riportare un'affermazione del Presidente della Commissione Junker, estremamente significativa: "Che piaccia o meno dobbiamo cooperare con la Turchia... Esistono questioni irrisolte sui diritti umani e la libertà di stampa... E' necessario muoversi rapidamente perché Ankara è d'accordo affinché i profughi restino in Turchia".

Che piaccia o no, dunque, inglobare nell'Unione Europea un paese il cui leader non rispetta i diritti umani e la libertà di stampa si può, basta che risolva la grana dell'esodo dei rifugiati. In cambio vi è la promessa di accelerare l'entrata di questa Turchia nell'Unione Europea, e in attesa che questo possa avvenire, gli vengono assicurati altri benefit. Erdogan, interessato ad avere mano libera nel suo paese, vorrebbe che la Turchia venisse riconosciuta come "paese terzo sicuro", per impedire ai cittadini curdi, che stanno combattendo in Turchia la guerra di resistenza, di chiedere asilo politico in Europa. Poi ci sarebbe la liberalizzazione dei visti dei cittadini turchi per l'Europa e non ultimo tre miliardi di euro per pareggiare il conto.

 

CREDITS ANSA