Il territorio emiliano-romagnolo controllato dal sistema mafioso

La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia spiega come senza il controllo militare del territorio sia stato possibile alla 'ndrangheta impossessarsi dell'Emilia Romagna.

7 MARZO 2016

By Marco Marano

Chi l'avrebbe detto che un esempio di buon governo e di sviluppo virtuoso del territorio come l'Emilia Romagna, si fosse antropologicamente trasformata in terra di mafia. A prima vista sembra inspiegabile, soprattutto agli occhi di chi nelle terre controllate dagli eserciti mafiosi c'è nato, ma a leggere l'analisi della Direzione Nazionale Antimafia, alla fin fine è tutto molto lineare...

"In tale direzione vi sono stati importanti risultati investigativi e processuali, che hanno disvelato il fenomeno criminale presente da anni ed operativo in molte zone del territorio, con una 'ndrangheta insinuata in tutti i settori della vita economica e sociale, con una gestione del potere attraverso una fitta rete di relazioni con rappresentanti del mondo istituzionale, delle professioni e dell’imprenditoria, (rete) in grado di soddisfare molteplici interessi, in primis quelli di natura economica".

Non c'è stato bisogno di militarizzare il territorio perchè l'ingordigia della borghesia emiliano-romagnola, tesa alla capitalizzazione di risorse economiche, ha fatto si che i clan ndranghetisti diventassero il collante economico degli affari, al di sopra delle regole.

"L’immissione nel circuito legale di denaro di provenienza illecita, il radicamento nel territorio di rappresentanti del sodalizio in giacca e cravatta e dotati di competenze professionali e manageriali, il sostegno di una parte della stampa locale, il colpevole silenzio delle istituzioni, preoccupate dalle conseguenze derivanti dalla diffusione di notizie sulle presenze mafiose nei territori amministrati, la forza di intimidazione propria del gruppo operante in Emilia, hanno determinato una vera e propria trasformazione sociale, e del tessuto economico ed imprenditoriale."

La storia inizia gia nella metà degli anni ottanta, quando le famiglie cutresi iniziarono ad insediarsi nell'area metropolitana di Reggio Emilia, per avere una impennata alla fine degli anni novanta, quando l'allora sindaco modificò il piano regolatore, dando il via ad una speculazione edilizia senza precedenti. Una impennata che diede la possibilità al clan Gande Aracri di Cutro di investire ingenti capitali di provenienza illecita nella costruzione di appartamenti. Un fenomeno questo che ha portato ad una quantità enorme di immobili invenduti nel momento in cui, dal 2008 in poi, la crisi economica ha investito il paese.

 

E l'indagine Aemilia, da poco avviata a processo, ha "scoperchiato" proprio questo sistema di stupro del territorio, grazie alla colpevole interazione trasversale di quella che un tempo poteva essere definita la società attiva della regione. I numeri in breve parlano da soli: 117 ordinanze di custodia cautelare e ad un processo in corso con oltre 200 imputati, tra rito abbreviato e ordinario.

"Non è un caso che all’elevato numero delle attività criminali riconducibili alla ‘Ndrangheta”, così come ricostruito nelle indagini e nelle sentenze, non ne corrisponda uno altrettanto apprezzabile di denunce da parte delle vittime".

Omertà, silenzi, connivenze, tutti gli elementi più caratterizzanti della cultura mafiosa in Emilia Romagna hanno trovato nuove sponde e nuove rigenerazioni, e la storia di Bresciello, il mitico paese di Peppone e Don Camillo, ne è la fotografia più caratterizzante. "Un vero e proprio inquinamento della società civile, del mondo economico e politico di quelle terre fino a condizionarne le elezioni, seppure nei piccoli comuni, dove la presenza calabrese riesce ad ottimizzare i suoi voti".

A Bresciello il dieci per cento della popolazione proviene proprio dal comune calabrese di Cutro, tra cui il boss Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso, e fratello di Nicolino, il boss dei boss... Lì la famiglia aveva costituito il suo quartier generale, tanto da determinare le dinamiche stesse del sistema politico locale. Infatti la contiguità tra l'amministrazione comunale, guidata dal sindaco Marcello Coffrini e la cosca ha generato la nascita di una commissione prefittizia che si è insediata nel paesino narrato negli anni cinquanta nei film degli eroi di Guareschi.

La straordinaria assimilazione culturale, anche nel linguaggio, di questa borghesia mafiosa del nord, con i caratteri della cultura mafiosa meridionale, è davvero sconcertante se si va a guardare come il sindaco sia stato smascherato nella sua contiguità al clan. Intervistato dalla webtv Cortocircuito, costui dichiarava che il boss condannato Francesco Grande Aracri era "una persona normalissima, gentile, che saluta per strada quando lo si incontra", un uomo educato insomma... Una volta sputtanatosi il sindaco non potè fare altro che dare le dimissioni, ma il paese intero lo difese... In quei giorni ai giornalisti, che intervistavano la gente per le strade di Bresciello, veniva risposto pressappoco: "ma che mafia e mafia... qui non ce n'è mafia... la mafia è a Roma..." Se qualcuno dovesse andare su youtube a cercare i reportage fatti negli anni settanta del giornalista Pippo Fava, ucciso dal clan Santapaola, per le strade dei paesini mafiosi dell'entroterra siciliano, sentirà le stesse risposte, ma con una inflessione dialettale diversa...

E che dire di Don Evandro Gherardi, il parroco di Bresciello, anche lui estrenuo difensore del sindaco, contro delle male lingue che infangano il suo paese. Attenzione, questo parroco lo ritroviamo come Presidente dell'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, l'ente che eroga gli stipendi dei prelati, ad emanazione territoriale, direttamente dipendente della Conferenza Episcopale Italiana, che non dipende dunque dal Vescovo di riferimento. Ecco, questo ente è proprietario di vari immobili nel reggiano, tra cui l'ex magazzino formaggi, situato nell'area nord di Reggio Emilia, quella negli anni passati non interessata alla speculazione edilizia degli appartamenti.

Due anni fa questo stabile abbandonato veniva occupato da una rete di attivisti, per dare riparo a dei rifugiati usciti fuori dal programma Emergenza Nord Africa, messi a dormire all'agghiaccio. Lì veniva fondata una ciclofficina che sta contribuendo a ridare cittadinanza e dignità a dei ragazzi a cui è stata strappata sia l'una che l'altra. Bene, il parroco di Bresciello a fine gennaio si presentava con i vigili urbani nell'edificio, minacciando lo sgombero, poiché quell'attività veniva considerata "clandestina", e comunque a lui serviva lo stabile poichè quel terreno dov'è situato è troppo importante...

In realtà, in quella zona si sta velocemente sviluppando una nuova urbanizzazione non più legata agli appartamenti ma ai servizi, con lo sviluppo della stazione Mediopadana, per l'alta velocità...